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Una veduta del cassettonato ligneo della navata di San Pietro a Majella di Napoli

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Una veduta del cassettonato ligneo della navata di San Pietro a Majella di Napoli

San Pietro a Majella in catene

La chiesa gotica adiacente al Conservatorio è stata interessata da 1,7 milioni di euro di lavori nell’ambito del Grande Progetto Unesco di recupero e alla valorizzazione del centro storico di Napoli

Olga Scotto di Vettimo

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Eretta tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo dall’architetto Pipino da Barletta per volontà di re Carlo II d’Angiò, la Chiesa di San Pietro a Majella, adiacente al convento poi trasformato nell’800 in Regio Conservatorio di Musica, sorge nel centro antico della città, non distante dal Decumano Maggiore. La chiesa, che deve il suo nome al santo eremita Pietro Angeleri da Morrone, ovvero Celestino V, il papa del «gran rifiuto» che rinunciò al papato per ritirarsi sulla Maiella in Abruzzo, è stato interessata da interventi di restauro svolti nell’ambito del Grande Progetto Unesco di recupero e alla valorizzazione del centro storico di Napoli. I lavori, realizzati sotto la direzione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli e costati 1,7 milioni di euro hanno avuto come obiettivo prioritario la messa in sicurezza dell’edificio, attraverso l’assicurazione statica dell’intero corpo di fabbrica.

In particolare, a causa della precarietà del tetto, si è provveduto allo smontaggio integrale della copertura e, installatane una provvisoria, si è poi intervenuti sulle parti ammalorate delle capriate, inserendo protesi lignee. Per garantire la statica dell’edificio, è stato realizzato un incatenamento murario e la sostituzione dei tiranti lignei con altri in acciaio, al fine di sostenere la struttura lignea del cassettonato, ed è stata predisposta una struttura lignea secondaria per sorreggere il tetto. Sono state inoltre bonificate tutte le superfici murarie danneggiate dalle infiltrazioni delle acque piovane. Dopo l’intervento strutturale, si è provveduto al restauro del cassettonato ligneo della navata e del transetto, degli affreschi e dell’apparato decorativo delle cappelle laterali, tra le quali la cappella Leonessa con i cicli trecenteschi e la cappella Stinga.

Di fondazione gotica e affiancata da un campanile in tufo e piperno, la chiesa ha subìto nel tempo numerosi rimaneggiamenti, tra cui quelli di fine Quattrocento realizzati per ampliare lo spazio monasteriale e accogliere la comunità dei padri celestini. Significativi, inoltre, i rimaneggiamenti seicenteschi, opera del frate e architetto Bonaventura Presti, che modificò il portale dell’ingresso principale e arricchì l’interno con stucchi, marmi, un soffitto ligneo a cassettoni con tele di Mattia Preti, un prezioso altare maggiore opera dei fratelli Bartolomeo e Pietro Ghetti e intarsi di marmi policromi nel presbiterio delimitato da una balaustra dorata di Cosimo Fanzago. 

A seguito dell’allontanamento dell’ordine dei Celestini, la chiesa venne riadattata nel 1826 per ospitare il Regio Conservatorio ma poi tornò all’originario aspetto gotico con i restauri avvenuti tra il 1888 e il 1927. Ricca di importati opere, tra cui il cinquecentesco coro ligneo intarsiato, la chiesa ospita dipinti tra gli altri di Francesco De MuraMassimo Stanzione, Paolo De Matteis, Giacomo del PoGiuseppe Troccola, e una scultura di Giovanni da Nola.

Olga Scotto di Vettimo, 14 agosto 2024 | © Riproduzione riservata

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