«L’ultimo meraviglioso minuto» è il titolo della mostra pensata da Pietro Ruffo per il Palazzo delle Esposizioni con l’intento di rappresentare per immagini il mare del tempo. Aperta dal 29 ottobre al 16 febbraio 2025, e curata da Sébastien Delot, direttore della collezione del Museo nazionale Picasso di Parigi, la mostra si articola come un viaggio in un passato talmente remoto da apparire come un sogno, quando è invece la storia del pianeta Terra. La mostra parte da 55 milioni di anni fa.
Il titolo della prima sala, «Le monde avant la création de l’homme», è lo stesso del libro di Camille Flammarion, che ha come sottotitolo Origines de la terre, origines de la vie, origines de l’humanité (1886). Un libro che l’artista ha letto da adolescente e del quale riscopre il valore letterario e quello delle meravigliose tavole incise che mostrano come, alla fine del XIX secolo, veniva immaginato il mondo prima della «creazione» dell’uomo. Lungo tutto il perimetro di questa sala corre un gigantesco sipario (700 metri quadrati) in cui Ruffo ha, con infinita pazienza, tracciato con penna Bic blu una foresta primordiale, fitta di piante e minerali, dettagliatamente rappresentati. È la giungla tropicale che occupava la maggior parte delle terre emerse, in una fase di dominio assoluto del vegetale. La stessa sala è a sua volta attraversata da una grande struttura portante, alta quattro metri e lunga ventuno, ricoperta di carte su cui l’artista ha raffigurato, nel colore Siena bruciata, scorci del Grand Canyon. Oltre al vegetale, dominava infatti lo spazio. E questo per un tempo lunghissimo. La paleontologa Rebecca Wragg Sykes nel suo libro Neanderthal, vita, arte, amore e morte ha scritto: «Se riduciamo i 13,8 miliardi di anni dell’Universo a un periodo di dodici mesi, i dinosauri compaiono verso Natale, mentre i primi homo sapiens arrivano solo pochi minuti prima dei fuochi d’artificio di Capodanno». L’idea di Ruffo e di restituire poeticamente tutto il tempo passato, di cui il presente è «solo» l’esito, un tempo di milioni di anni, osservati dall’«ultimo meraviglioso minuto», come riportato nel titolo della mostra.
Nella seconda sala, dove sono raccolte opere realizzate su carta intelata, con intagli e inchiostro di china, i visitatori si trovano immersi in un archivio visivo che ripercorre simbolicamente le tappe dell’evoluzione dei nostri antenati, dai teschi dei Neanderthal di Saccopastore (oggi area di Roma), fino alle statuette votive, primo emblema di pensiero astratto su cui si fondano le società. Nella terza sala, la videoinstallazione «The planetary garden», realizzata in collaborazione con Noruwei, intende restituire in forma tridimensionale il movimento e le trasformazioni indotte dal trascorre del tempo.
L’ultima sala è dedicata a caleidoscopiche vedute-visioni di Roma, nelle sue tante e sempre vive stratificazioni. Qui, frammenti della settecentesca carta topografica di Roma realizzata da Giovanni Battista Nolli, e di quella ottocentesca di Luigi Canina, vedono il fantasmagorico innesto di ritagli colorati con elementi vegetali, che altrove si intrecciano a piante e spaccati di antichi monumenti, come il Pantheon o Porta Maggiore. Si mescolano qui le carte del tempo, artisticamente reinterpretato come durata psicologica, dagli effetti stupefacenti: appare, così, la Roma prima di Roma, e soprattutto prima dell’uomo.
Questa lettura di Ruffo dell’uomo prima dell’uomo nasce da un incontro proprio con un uomo, Lee Berger, antropologo e paleontologo di fama mondiale, che ha guidato l’artista alla scoperta di uno dei luoghi più emblematici della storia umana, perché sua culla, un sito paleoantropologico che si trova non distante da Johannesburg in Sudafrica, il luogo in cui è stato scoperto il primo primate della storia.