Andrea Merlotti
Leggi i suoi articoliDal 31 maggio all’1 giugno le residenze reali italiane si sono date appuntamento a Napoli. Organizzato dal Palazzo Reale di Napoli e dal Centro conservazione e restauro «La Venaria Reale», l’incontro era dedicato al tema della conservazione preventiva, con cui, secondo la definizione dell’Icom, si indica «l’insieme delle misure e delle azioni tese a evitare o ridurre al minimo futuri deterioramenti o perdite […] condotte sull’ambiente e nel contesto del bene».
In sostanza si tratta di quelle attività di monitoraggio delle opere, eseguite da restauratori professionisti con strumenti e tecniche ad hoc, con lo scopo di evitare che, in un futuro più o meno prossimo, le opere si deteriorino al punto da render necessari veri e propri interventi di restauro. Direttori e funzionari hanno raccontato le loro esperienze, mostrando il valore di questo approccio alla gestione del patrimonio e sviluppando un confronto fra pratiche e situazioni differenti.
La notizia più rilevante è quella della collaborazione e del dialogo fra le regge. Non a caso Mario Epifani, direttore del Palazzo Reale di Napoli, ha voluto che il convegno fosse aperto da due interventi affidati a Enrico Colle, uno dei massimi studiosi delle residenze reali italiane, e al sottoscritto, per mostrare le relazioni storiche e artistiche che legano tutte le regge della Penisola. I sessant’anni fra 1860 e 1920 videro, infatti, il definirsi e il dispiegarsi d’un sistema di gestione comune che, pur con le fratture prima delle dismissioni del 1919-20 e poi della caduta dalla monarchia nel 1946, ha dato alle residenze reali italiane un’identità unitaria non più sopprimibile. Se fino al 1861 (per Roma sino al 1870) vi erano stati, infatti, i sistemi di residenze degli Stati preunitari, da allora questo complesso e variegato mondo fu raccolto in un unico sistema, al servizio dei Savoia re d’Italia.
Alcune regge furono certo destinate a usi totalmente diversi da quelli per cui erano state create (Parma, Modena, Portici...), ma la maggior parte fu posta al servizio del racconto e della rappresentazione della dinastia regnante sulla «Nuova Italia». Le conseguenze di ciò costituirono una cesura non più ricomponibile. Dopo il 1946, però, in più parti della Penisola, la narrazione delle regge è stata incentrata sul racconto delle dinastie preunitarie, cercando in alcuni casi di presentare il più possibile la situazione ante 1860.
Credo che ora per le regge italiane sia fondamentale lavorare in sinergia, non solo per costruire pratiche di gestione sempre migliori, ma anche per disegnare un sistema integrato di narrazioni che, mantenendo le specificità e la storia di ciascuna di esse, sappia insieme restituire il carattere unitario che hanno avuto nell’ultima e non meno importante fase della loro storia.
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