Laura Giuliani
Leggi i suoi articoliPietra miliare nella letteratura accademica per lo studio dell’abbigliamento etrusco «Etruscan Dress» di Larissa Bonfante (Napoli, 1931-New York, 2019) è ancora oggi un’opera insuperata. Eppure sono passati quasi cinquant’anni dalla sua pubblicazione nel 1975 per i tipi della Johns Hopkins University Press (Baltimora), ristampata nel 2003. Di quest’ultima la casa editrice Johan & Levi propone la traduzione «Vestire all’etrusca» a cura di Elena Balzano con la revisione scientifica di Elena Pontelli, fedele alla prima edizione, a eccezione della bibliografia ragionata aggiunta dall’autrice a conclusione del saggio nel 2003.
Se per gli autori antichi i due tratti distintivi di un popolo erano lingua e abbigliamento, per l’etruscologa Bonfante, allieva di Otto Brendel alla Columbia University (autore del libro «Etruscan Art» pubblicato postumo nel 1978, cui l’archeologa s’ispira per la sua tesi di dottorato), professoressa emerita alla New York University e membro della sezione americana dell’Istituto Nazionale di Studi Etruschi e Italici di Firenze, la specificità culturale etrusca va a iscriversi all’interno di un contesto che guarda al passato greco e al futuro romano. Lo studio, infatti, s’inserisce nel dibattito che anima da sempre gli studiosi sui rapporti tra Etruria e Grecia e sull’influenza di quest’ultima (insieme al Vicino Oriente) sui modelli etruschi.
Anche se destinato al mondo accademico, il libro è di facile lettura, per chiarezza e originalità del tema, complici anche le tavole cronologiche riassuntive, i disegni della stessa autrice e di Lisa Kayne e l’apparato iconografico presenti al suo interno. Ma quali abiti indossavano realmente le donne e gli uomini etruschi? Se è vero che lo stile resta e la moda cambia, la studiosa accompagna il lettore in un viaggio iconografico al passo con l’evoluzione dei capi e delle mode, dal VII secolo a.C. all’arte romana.
E ci riesce grazie alla minuziosa analisi e ai puntuali confronti di abiti e accessori riprodotti su vasi, sculture, rilievi, pitture funerarie e bronzetti etruschi, che tra l’altro offrono una notevole documentazione storica e sociale, in un ampio arco cronologico da lei diviso in quattro grandi fasi: i periodi orientalizzante, ionico, classico ed ellenistico, anche se poi il criterio adottato è per tipologia di indumento.
Il chitone lungo dedalico, quello a tre quarti e quello corto, a seconda dell’epoca, talvolta dalle fogge più svariate con motivi colorati a scacchi o a quadri; i mantelli come la «tebenna» dalla forma semicircolare e l’«himation» rettangolare, quest’ultimo molto in voga nel mondo greco; i perizomi, ovvero gli antichi pantaloni corti (tipo mutande) o lunghi, cinturoni, sandali e scarpe a punta orientaleggianti, cappelli a cono e copricapi piumati (questi ultimi mai indossati nella vita reale) che guardano al Vicino Oriente e altri abiti insoliti, difficili da inquadrare, a cui l’autrice dedica un’apposita appendice.
Non manca poi l’analisi delle acconciature e delle barbe. Per quanto riguarda tessuti e stoffe, si scopre che il materiale più in voga in Etruria, così come nel mondo antico, era la lana, seguita poi da feltro e pelle. Il lino invece, più prezioso, veniva utilizzato per i chitoni di donne di rango elevato, «anche se il cosiddetto “chitone trasparente” raffigurato tra VI e V secolo a.C. non corrisponde a un indumento reale, ma è il frutto di un’errata interpretazione dei modelli», così come per altri capi che non si diffusero mai nella vita quotidiana.
Vestire all’etrusca,
di Larissa Bonfante, traduzione di Elena Balzano e revisione di Elena Pontelli, 304 pp., 147 ill. b/n, Johan & Levi, Milano 2023, € 38
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