Laura Giuliani
Leggi i suoi articoliLa professione dell’archeologo si è consolidata e strutturata nel corso degli ultimi anni, da quando il Decreto ministeriale n. 244 del 20 maggio 2019 (allegato 2) ne ha individuato requisiti, conoscenze, abilità e competenze necessari per esercitarla, suddividendola per fasce professionali. Per arrivare a questo traguardo ci sono voluti anni di battaglie, tra lettere, appelli e assemblee degli stessi archeologi, per far sì che il settore, che nel nostro Paese vanta un assoluto primato e che richiama giovani spinti da una forte passione, venisse dignitosamente riconosciuto e tolto da quel mondo precario (ancora in parte da debellare) nel mare delle riforme che negli anni hanno scombussolato gli istituti ministeriali.
D’altro canto, se nell’immaginario collettivo la figura stereotipata dell’archeologo avventuriero scopritore di tesori permane ancora, la realtà ci restituisce un’immagine ben diversa. Oggi l’archeologo non vive solo di scavo: è un professionista che coniuga saperi umanistici e competenze scientifiche, è altamente specializzato e allo scavo affianca altre attività culturali, presta servizio in ambito pubblico e privato e dev’essere dotato di intraprendenza e di capacità di adattamento. È quanto emerge dal III censimento effettuato su scala nazionale e in forma anonima promosso dall’Associazione Nazionale Archeologi (Ana), la più grande associazione di categoria in Italia che riunisce oltre 500 iscritti.
I dati sono stati annunciati in anteprima al congresso nazionale dell’Ana svoltosi a Pisa il 24 e il 25 maggio scorso, e presentati al meeting internazionale Eaa, European Association of Archaeologists, quest’anno ospitato a Roma dal 28 al 31 agosto; saranno diffusi alla Borsa del Turismo Archeologico di Paestum (31 ottobre-3 novembre) insieme a quelli relativi al questionario su abusi e discriminazioni di genere sui luoghi di lavoro.
Per fare il punto sullo stato e l’evoluzione della professione, abbiamo incontrato la presidente nazionale Marcella Giorgio (classe 1980), da pochi mesi alla guida dell’Ana, dove dal 2011 ha ricoperto svariati incarichi regionali e nazionali, prima donna a rivestire questo ruolo. Specialista di archeologia medievale e postmedievale, due dottorati di ricerca e tanti anni di libera professione, è funzionario archeologo presso la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno, dove si occupa di tutela territoriale in tutte le sue forme.
Presidente Giorgio, partiamo dalla modifica del Codice dei Beni culturali che ha riconosciuto la professione dell’archeologo e di altre figure operanti nel settore con l’istituzione degli elenchi dei professionisti (legge 110 del 22 luglio 2014). Come mai, a distanza di dieci anni, manca ancora un albo degli archeologi italiani?
Abbiamo dovuto attendere il 2019 per i decreti attuativi di quella legge che delineasse tutte le figure dei beni culturali, tra cui l’archeologo all’allegato n. 2. Dal 2019 ad oggi sono altri cinque anni e solo ora si cominciano a vedere i risultati dell’effettiva entrata a regime di questa normativa di settore. Innanzitutto, era necessario il riconoscimento professionale che chiarisse a tutti chi fosse e che cosa facesse l’archeologo, quali fossero le ricadute nell’ambito lavorativo. Proprio perché l’accelerata dall’uscita dei decreti attuativi è stata fortissima, abbiamo sentito l’esigenza di un nuovo censimento che mostrasse la portata del cambiamento e, insieme, a gran voce è arrivata la richiesta di un ordine, uno dei temi centrali del congresso.
Dal censimento del 2011 a quello del 2024 che cos’è cambiato?
È stato il censimento più partecipato in assoluto, realizzato in soli tre mesi a fronte dei sei di una volta. Oltre mille risposte, un numero di gran lunga superiore a quello dei nostri associati, compresa l’adesione anche di chi non è nostro socio. I dati mostrano un archeologo che vive di archeologia anche se ancora in molti casi l’affianca ad altre attività di ambito culturale, pur restando l’archeologia l’attività prevalente: resta una professione prettamente femminile (65,51%), con uno o più titoli postlaurea o in via di conseguimento (88%). Ciò significa che non ci si ferma alla laurea magistrale, anche in linea con le possibilità lavorative descritte dalla normativa vigente, ma c’è la volontà di alzare il livello formativo e la professionalità. Solo il 14% dei partecipanti al censimento lavora nel pubblico, tra Ministero (tutela e musei) e Università (ricerca, insegnamento e didattica), mentre oltre il 70% degli intervistati esercita in ambito privato, come lavoratore autonomo oppure in aziende o in cooperative; di questi oltre il 60% lavora a partita Iva. Si può stimare che oggi in Italia siano in attività dai 5mila ai 7mila archeologi.
Quindi l’archeologo non è più sinonimo di precarietà?
Gli intervistati dai quarant’anni in su percepiscono compensi che consentono loro di vivere del loro mestiere. Fanno non solo cantieristica (il settore meno remunerativo), ma diversificano anche nella pianificazione, progettazione e musealizzazione. Nelle fasce di età più basse resta ancora molta sofferenza. Proprio per questo stiamo portando il nostro contributo alla legge dell’Equo Compenso, con l’individuazione di parametri minimi di retribuzione. La tariffa all’ora di un archeologo può variare in base alle regioni, a seconda del committente e cambia a seconda che si lavori a seguito di una cooperativa o di un’impresa o se si è un libero professionista.
Tecniche sempre più sofisticate e una maggiore fruizione legata a interessi di tipo economico accompagnano l’archeologia determinando al di fuori dei cantieri di scavo nuove figure professionali.
L’archeologo è una figura complessa che unisce a un elevato contenuto intellettuale una preparazione tecnologica, scientifica, metodologica ed etica. La nostra sfida è far comprendere che cosa facciamo, che non è solamente toccare con mano la terra. La base del nostro lavoro resta lo scavo, ma nella pratica, essendo l’archeologo diventato un consulente a tutto tondo, deve lui stesso prima capire dove indirizzare le sue scelte. Oggi un archeologo si occupa di pianificazione territoriale e urbanistica, progettazione, archeologia preventiva, curatela di mostre, esegue perizie, anche nei tribunali, riveste ruoli apicali nei musei e nei parchi archeologici, lavora nella didattica e nella divulgazione e comunicazione. Tutto questo è ben descritto nel DM 244/2019 che ha aperto una finestra concreta sulle varie fasce della professione.
Chi sono i vostri associati?
Studenti universitari in formazione, liberi professionisti, titolari di impresa e di cooperativa, professori e ricercatori universitari, funzionari dello Stato. Da statuto diamo rappresentanza a tutti gli archeologi che operano in Italia, indipendentemente dall’ambito in cui svolgono la professione, e lavoriamo per politiche che sono realmente di categoria.
Quali sono i principali problemi?
Sul versante della contrattualistica molti archeologi sono ancora professionalmente immaturi. Molte consulenze sono legate a questo ambito ove spesso abbiamo riscontrato la presenza di norme capestro accettate un po’ per inesperienza e un po’ per cattiva conoscenza normativa, altre riguardano l’ingresso nel mondo del lavoro. Lavoriamo molto sulle attestazioni ministeriali, quelle per l’iscrizione agli elenchi dei professionisti, con uno sportello dedicato. C’è poi l’Osservatorio nazionale Bandi/Gare/Tariffe a cui possono rivolgersi anche i non associati in forma anonima.
Anche nel mondo dell’archeologia la donna è al centro di casi di violenza sui luoghi di lavoro?
Dal questionario sono emersi episodi di violenza fisica, molti casi di stalking, tantissime molestie verbali. Qualcuno ha abbandonato il posto di lavoro per mobbing. Da tanti anni ci interessiamo di politiche femminili e lavoriamo a livello europeo per superare abusi e discriminazioni.
Con così tanti archeologi preparati, come spiega il paradosso di alcuni parchi archeologici la cui direzione è stata affidata invece ad agronomi e architetti?
Sono scelte che nascono da volontà politiche e che riguardano non solo i parchi. In Sicilia gli archeologi mancano anche nella tutela e nelle Soprintendenze. Così si nega il ruolo sociale che gli archeologi in questi anni si sono ritagliati.
Che cosa consiglia a chi vuole intraprendere questa professione.
Di informarsi bene sin dall’inizio attraverso anche tutti gli strumenti che l’Università mette a disposizione prima dell’iscrizione con incontri e giornate di orientamento. È opportuno iniziare subito a entrare in contatto con l’associazione di categoria perché è l’unica che, rappresentando tutti gli archeologi a prescindere dall’ambito nel quale esercitano la professione, può fornire un riscontro concreto alle domande rispetto al futuro lavorativo dei nuovi professionisti. L’Università è infatti, e forse giustamente, ancora molto centrata sulla formazione accademica. Da anni lavoriamo con gli atenei italiani per fornire un supporto nella direzione della professionalizzazione del giovane futuro archeologo: per questo è necessaria una concreta formazione continua. Come emerge anche dal censimento, la partecipazione all’attività dell’associazione di categoria è di grande aiuto e distingue positivamente il futuro professionale dei giovani archeologi.
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