Image

«Uffizio del Metaverso» di Michelangelo Pistoletto

Foto: Damiano Andreotti

Image

«Uffizio del Metaverso» di Michelangelo Pistoletto

Foto: Damiano Andreotti

Pistoletto riaddomestica l’IA

Le creazioni dell’Intelligenza Artificiale sono il risultato di un processo automatico o i diversi soggetti coinvolti nel processo «creativo» prestano semplicemente un contributo tale da poter essere considerati autori o coautori dell’opera finale? Provano a rispondere Alice Brancati e Alberto Oddenino, citando l’esempio «proattivo» dell’artista piemontese

Alberto Oddenino, Alice Brancati

Leggi i suoi articoli

Nel quadro normativo italiano è problematico individuare la figura dell’autore nelle opere generate con il contributo dell’Intelligenza Artificiale (IA, AI in inglese). L’IA è infatti in grado di nutrirsi di grandi quantità di dati e di analizzare e sintetizzare i modelli e le strutture espressive in essi ricorrenti e poi utilizzarli per produrre nuovi contenuti creativi. Un processo che può apparire in questo senso quasi «creativo» dal momento che genera contenuti nuovi e originali, dovuti alla combinazione di elementi e «pattern» appresi nell’elaborazione delle varie informazioni acquisite. Essi possono assumere tratti imprevedibili, specie nei casi in cui l’Intelligenza Artificiale sia programmata su un livello di ricerca di correlazioni con un alto tasso di «elementi stocastici» (random, casuali). In tale scenario, la questione dell’attribuzione giuridica dell’opera realizzata da IA appare tutt’altro che scontata. Da un lato l’IA opera in maniera autonoma e automatica, dall’altro viene generata da input forniti dagli esseri umani: sia nella fase di «training», in cui l’IA è addestrata con grandissime quantità di materiale creativo da cui la macchina può apprendere, sia nella fase finale del processo «creativo», quando l’essere umano dà all’IA istruzioni specifiche circa l’opera che dovrà essere realizzata (il «prompt»). In questo contesto l’apporto umano si limita a un «input» iniziale, ma l’opera finale è elaborata e prodotta autonomamente dall’IA e le nozioni tradizionali di creatività e autorialità vengono messe in crisi. 

Nell’attuale contesto normativo la disciplina sul diritto d’autore non contempla la possibilità che un «software» possa creare opere originali e diventare a propria volta autore o coautore delle stesse. La domanda che ci si deve porre è quindi se le creazioni dell’IA siano da considerare il risultato esclusivo di un processo automatico (e quindi non possano essere protette dal diritto d’autore) o se i diversi soggetti coinvolti nel processo «creativo» dell’IA (dagli sviluppatori degli algoritmi agli autori del materiale con cui l’IA è addestrata, agli utenti che forniscono l’input finale all’IA per la generazione di un’opera...) prestino un contributo tale da poter essere considerati autori o coautori dell’opera dell’IA

Per rispondere a questa domanda non si può non fare riferimento a quella che è la stessa ratio alla base della tutela autoriale: promuovere la creatività e il progresso culturale attraverso il riconoscimento ai creatori di opere intellettuali del loro titolo di autore. Tale riconoscimento si sviluppa su due piani paralleli: da un lato quello morale, ossia il diritto di essere riconosciuto autore e vedere garantita l’integrità dell’opera; dall’altro quello economico e quindi il diritto di impedire la libera utilizzazione delle proprie opere e richiedere il pagamento di un compenso per la stessa. Valutare a quale soggetto debba essere attribuita l’opera generata (anche) da IA comporta anche chiedersi quale tra le molteplici soluzioni possibili contribuirebbe maggiormente al raggiungimento degli obiettivi del diritto d’autore. Se è vero che l’IA non necessita certo di riconoscimento del proprio operato per continuare a rispondere agli «input» forniti dagli esseri umani, sembra riduttivo guardare all’opera generata da IA come il mero «output» di una domanda, senza tenere in considerazione tutto il processo «creativo» alla base di esso

Guardando ai vari soggetti, al programmatore dell’IA è riconosciuta protezione per quanto attiene all’algoritmo sviluppato, ma non all’opera generata dall’algoritmo stesso. Una qualche paternità dell’opera potrebbe piuttosto essere attribuita agli autori del materiale utilizzato per il training dell’IA. Peraltro, l’utilizzo di materiale per l’addestramento dell’IA è di regola permesso, salvo «opt-out» (divieto, Ndr) da parte degli autori dello stesso. Qualora l’opera finale generata dall’IA appaia simile, quando non addirittura identica, a un’opera utilizzata per il suo training è evidente come l’autore dell’opera originale avrà margini evidenti per contestare la violazione del proprio diritto d’autore. Con riferimento poi agli utenti che hanno formulato la richiesta finale al sistema di IA, resta aperta la questione se essi possano rivendicare autorialità sull’opera generata da IA: dipende da diverse variabili attinenti al rapporto intercorso tra il «prompt» (il comando fornito dall’utente) e il risultato creato dall’IA, in particolare il livello di autonomia che alla stessa è stato concesso nello stabilire correlazioni. Il diritto d’autore è come conteso fra questi diversi attori. 

Lo snodo per riconoscere tutela autoriale resta il carattere creativo dell’operato (umano) nel processo di realizzazione dell’opera dell’IA. In un contesto così incerto è difficile trovare una soluzione univoca e universale e ciò produce una profonda crisi dell’autorialità com’è tradizionalmente concepita. Sul piano artistico tali questioni pongono in dubbio radicalmente la tradizionale nozione di autore e sfidano altresì la creatività dell’artista umano, che viene chiamato a ripensarsi in misura profonda nell’era attuale nella quale la presenza e l’uso dell’Intelligenza Artificiale sono sempre più pervasivi e capillari. 

Per questa ragione innumerevoli artisti hanno già avviato un percorso di indagini sul rapporto tra umano e IA nel corso del processo creativo. Chiaro esempio è stato offerto da Michelangelo Pistoletto nella sua recente mostra tenutasi presso il Castello di Rivoli, dove da un lato si trovavano le opere «Qr Code Possession», nelle quali un’IA fornisce risposte a quesiti che toccano vari aspetti della carriera e creatività di Pistoletto, dall’altro nell’«Uffizio del Metaverso» dove un’immagine della parziale nudità del corpo dell’artista viene associata ad alcuni Qr code, che lo adornano come se fossero tatuaggi. Entrambe queste manifestazioni artistiche rivelano una poetica affine e attestano che l’artista è consapevole del potenziale dell’impatto che l’IA già oggi può avere sulla centralità dell’autore umano e sulle frontiere della creatività umana. Un’IA che nella sua capacità mimetica dell’uomo sembra talora in grado di antropomorfizzarsi, di comportarsi «come se» fosse umana, e vestendo in ciò anche panni autoriali o artistici che comportano il rischio di relegare l’artista a un ruolo ancillare. 

In questo contesto, le due citate opere di Pistoletto realizzano, con successo, un riequilibrio del rapporto fra l’artista e l’IA, riservando in certa misura la dimensione creativa all’artista e riconducendo l’IA a una dimensione servente, a mezzo espressivo dotato di attitudine «specchiante». Sarebbe inutile indugiare qui sul tema, ben noto, della poetica dei quadri specchianti e l’aspetto partecipativo delle opere di Pistoletto. Conta invece sottolineare come tale poetica si riproponga, aggiornata e quasi potenziata, proprio in relazione al rapporto con l’IA. Pistoletto usa l’IA per ciò che essa in effetti è: uno specchio dei saperi e delle creatività umane che hanno costituito il suo patrimonio di addestramento. Ma perfino uno specchio può facilmente divenire deformante, capace di obliterare l’artista umano fino anche a sostituirlo. Nelle opere «Qr Code Possession» si realizza invece una riappropriazione che si regge su un ribaltamento di prospettiva. L’IA è infatti una sorta di «oracolo specchiante» che si esprime sull’arte di Pistoletto attraverso dei «prompt», sei quesiti formulati dallo stesso Pistoletto. Una perfetta chiusura del cerchio espressivo, che riporta l’artista al centro e ribalta l’uso che correntemente viene fatto dell’IA dai suoi fruitori. 

Al contrario, qui l’autore proattiva il proprio ruolo creativo e non accetta alcuna sostituzione o surroga tecnologica. Un modo brillante di contrastare in radice ogni possibile espropriazione artistica da parte dell’IA. È parimenti efficace il meccanismo di incorporazione della stanza del Metaverso, in cui un’immagine di grande forza espressiva coniuga la fisicità del corpo umano con una sorta di corpo sottile digitale, rappresentato dai Qr code tatuati. In questo modo si realizza nuovamente un importante riequilibrio fra mezzo tecnologico e fine creativo, in ultima analisi fra digitale e umano: l’artista Pistoletto esibisce la nudità del suo corpo fisico e in esso «incorpora» i Qr code che rappresentano (e contengono) l’output tecnologico che l’IA restituisce sulla base delle sollecitazioni umane. Il corpo fisico del creatore si staglia e permane, con la sua personalità e la sua creatività, mentre l’IA è ricondotta a un mero contributo di mezzo espressivo, e forse anche a strumento di potenziamento, dell’artista. Il golem dell’Intelligenza Artificiale, nella sua attitudine a sostituire l’umano attraverso una sua credibile contraffazione, è ricondotto a un ruolo servente e appare «riaddomesticato». Un’affermazione preziosa e virtuosa dell’autorialità umana: l’artista, anziché dissolversi nella vastità del bacino tecnologico, sceglie invece di incorporarne alcune manifestazioni selezionate e artisticamente significative.

Alberto Oddenino, Alice Brancati, 10 agosto 2024 | © Riproduzione riservata

Altri articoli dell'autore

«Tokenizzare» non basta. Il futuro della valorizzazione dell’opera nascerà dalla fusione strategica tra criptoarte e criptovaluta

Pistoletto riaddomestica l’IA | Alberto Oddenino, Alice Brancati

Pistoletto riaddomestica l’IA | Alberto Oddenino, Alice Brancati