Procopio Procopius
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«Caro Procopio,
il mio prof di storia dell’arte moderna all’Accademia che ama le “uscite a effetto” (come le chiama lui) prima delle vacanze ci ha detto: “Se quest’estate visiterete qualche città, non fate come gli italiani che passano tutto il loro tempo nei musei. La cultura di un luogo non è chiusa tra quattro mura”. Io e la mia ragazza abbiano approfittato di un overbooking a siamo stati a Lisbona. In città, tra l’altro, c’era un botto di turisti a spasso, tra i quali tantissimi italiani. L’intasamento delle strade del centro storico ha reso ancora più insopportabile il caldo e ha creato le condizioni perfette per un litigio con Giulia, la mia ragazza, che ha dato la colpa a me perché il “colto” della coppia sono io e infatti ero stato io a puntare su Lisbona. Quando mi ha scaricato sotto il sole a picco di Praça do Comércio, ho attivato la modalità meditativa e una cosa che ho pensato è che la bella capitale del Portogallo ha l’aria di una città che è stata fatta diventare turistica a forza e dal turismo è stata massacrata. Poi è scattato in me l’orgoglio del maschio ferito (ma anche molto, molto sudato) e sono saltato su un tuk tuk che andava verso un museo di cui ci aveva parlato la profe di pittura, che è sull’orlo della pensione e la pensa alla vecchia maniera. Quando sono arrivato alla Fondazione Calouste Gulbenkian ho ringraziato in cuor mio quel riccone armeno che aveva avuto la geniale idea di aprire un museo pieno zeppo delle opere che aveva comprato nella sua vita. Non che io sia in grado di valutare l’importanza di tutto quello che c’è là dentro, ma l’ambiente era perfetto: il numero di visitatori era inversamente proporzionale all’orda sudata nella Baixa e, nonostante la presenza di una famiglia italiana, nelle sale regnava un silenzio reso ancora più gradevole dalla meravigliosa frescura di un efficiente impianto di climatizzazione. Ora ho una ragione in più, un’altra, per amare l’arte e soprattutto i musei. Perché quando sono finito, lo ammetto, per caso, nella sala dei Lalique ho riconosciuto subito la voce di Giulia che, lontana dagli sguardi delle custodi, stava lasciando un vocale a una sua collega: le stava dicendo che voleva punirmi, dimostrandomi che anche lei, nonostante studi “solo” informatica, è in grado di trovare l’aria condizionata in un museo e non necessariamente in un centro commerciale. Così, come nei pessimi film che lei guarda e alla fine piange, l’ho chiamata, lei si è voltata ed è esplosa la pace. Amo i musei che, mi scusi signor Procopio, non siano il Louvre o gli Uffizi. Adoro certe sale silenziose, deserte, fresche d’estate e calde d’inverno. Stravedo per i piccoli museum shop (Giulia mi ha regalato un costosissimo gadget che riproduceva una specie di gnomo mostruoso di Bosch, dicendomi che l’avrebbe chiamato col mio nome) e per le caffetterie, benché piuttosto care. Quanto al 31 agosto, ecco almeno per me (ma spero anche per Giulia) sarà per sempre il giorno dedicato a San Calouste, protettore dei turisti perduti, incazzati e sudati».
Riccardo, Brescia
Non sono più le stagioni di una volta
«Caro Riccardo,
non so che cosa sia più nocivo per la nostra salute, se il cambiamento climatico o il turismo di massa che imperversa sotto i cieli infuocati delle nostre estati perenni. Certo è che fa sempre più caldo, la gente si scopre e ci tocca pure sentire, odorare e vedere ciò che spesso sarebbe meglio tenere quanto meno velato. E allora sì, anche il suo professore un giorno capirà che certi mostri sarebbe meglio immaginarli e vederli soltanto in una pala di Bosch, nei gradevoli 26 gradi di un bel museo immerso nel verde».
Procopio
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