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La statua di Ramesse II conservata nel Museo Egizio di Torino (particolare)

© Foto Museo Egizio Torino

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La statua di Ramesse II conservata nel Museo Egizio di Torino (particolare)

© Foto Museo Egizio Torino

Perché l’Egizio di Torino è così importante?

Abbiamo chiesto agli egittologi una riflessione sull’istituzione torinese che, con l’apertura della nuova Galleria dei Re e il riallestimento del Tempio di Ellesiya, il 20 novembre festeggia il bicentenario (1824-2024) e sulle sfide future dell’Egittologia

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Da sinistra: Afifi Rohim e Omar Abou Zaid

Avete preservato le antichità per le generazioni future

Della rivoluzione in atto al Museo Egizio di Torino che il 20 novembre darà inizio alle celebrazioni del bicentenario (tre giornate, dal 20 al 22, con il capo dello Stato Sergio Mattarella ad aprire i festeggiamenti, incontri e brevi conferenze e la presentazione delle nuove sale), ne abbiamo dato conto più volte, seguendone via via le trasformazioni grazie al ripensamento di nuovi spazi, l’avanzare delle ricerche, l’utilizzo delle nuove tecnologie, la digitalizzazione delle collezioni e dell’Archivio Fotografico del Museo (a disposizione della comunità) e le tante altre attività messe in campo per «un museo che deve diventare luogo di incontro e scambio e dove la ricerca ha un ruolo primario», per riprendere le parole che il direttore Christian Greco ha pronunciato in occasione della presentazione del progetto «Materia. Forma del Tempo», che ha reso accessibile al pubblico una parte cospicua dei reperti finora conservati nei depositi del museo. 

In quest’ottica quali sfide dovranno affrontare i musei, quale sarà il futuro delle antichità e che cosa pensano gli egittologi egiziani dell’Egizio di Torino? Ci è perciò sembrato doveroso dare loro voce anche per restituire in maniera simbolica (siamo in tempi di restituzioni) ciò che in un certo senso il decorso della storia ha sottratto all’Egitto (ma ciò è avvenuto anche ad altri Paesi, Italia compresa e anche l’Egitto si è reso protagonista di spoliazioni ai danni del Sudan). Pertanto, abbiamo interpellato due egittologi egiziani impegnati sul fronte delle ricerche, in ambito archeologico e universitario: Afifi Rohim, direttore della Missione archeologica egiziana presso la Città d’oro a Luxor, e Omar Abou Zaid, professore associato di Egittologia all’Università di Assuan.

Perché l’Egizio di Torino è così importante?
Afifi Rohim: L’acquisto da parte dei Savoia nel 1630 della Mensa Isiaca rende il legame di Torino con l’Egitto pluricentenario e l’apertura del primo museo egizio in quella città è una diretta conseguenza di questo primo atto. Nel tempo, l’Egizio di Torino ha svolto un ruolo fondamentale nel salvaguardare le antichità egizie e oggi, grazie al recente rinnovamento, questi preziosi reperti risultano ben conservati ed esposti. Il museo rappresenta anche un ideale legame tra egiziani e italiani, due popoli accomunati da antiche e nobili radici storiche.
Omar Abou Zaid: L’Egizio di Torino è uno dei principali musei al mondo non solo per i suoi capolavori, ma anche per il modo di esporli e conservarli. La statua seduta di Ramesse II con la corona blu è talmente iconica per gli egiziani da essere stata riprodotta sulla banconota da 50 piastre. All’Università di Assuan nel mio corso di museologia non manco mai di soffermarmi sul modo in cui l’Egizio riesce a svolgere il proprio ruolo didattico in maniera facile.

Quale sarà il futuro delle antichità?
A. R.: La conservazione delle antichità egizie è indissolubilmente legata alle sfide in corso che il patrimonio egizio affronta di fronte ai cambiamenti climatici. Molte di queste antichità richiedono manutenzione e restauro costanti e la crescente crisi climatica globale rappresenta una minaccia significativa per la loro sopravvivenza, soprattutto considerando i drastici cambiamenti intervenuti in Egitto dai tempi faraonici. Uno dei pericoli maggiori è rappresentato dallo stato di abbandono in cui versano gli antichi sistemi di drenaggio, utili per proteggere siti e monumenti dal rischio delle inondazioni improvvise. Cruciali si rivelano perciò gli interventi volti a restaurarli. Preservare le antichità egizie per le generazioni future richiede uno sforzo in questa direzione e significativi investimenti scientifici in questo campo. Anche lo sfruttamento non pianificato dei siti per scopi non archeologici rappresenta una minaccia per l’integrità ambientale e la conservazione delle antichità.
O. A. Z.: Sebbene gli storici e i viaggiatori arabi abbiano scritto molto sugli antichi egizi, la Description de l’Égypte è stata la prima opera completa sull’Egitto ed è Jean-François Champollion che è riuscito a decifrare l’antica lingua. Il contributo dell’Occidente nel creare una coscienza antichistica nel nostro Paese rimane ancora molto importante. Negli ultimi anni numerose istituzioni europee hanno elargito borse di studio e assegni di ricerca ai giovani egiziani dando vita a una generazione molto qualificata di egittologi e archeologi che molto spesso lavorano fianco a fianco con le missioni straniere alla scoperta e protezione del nostro patrimonio culturale.

Rita Freed

Nessuno al mondo ha qualcosa di simile al corredo di Kha

Anche oltreoceano istituzioni come il Metropolitan, il Brooklyn Museum e il Museum of Fine Arts di Boston possiedono rilevanti raccolte di antichità egizie. Abbiamo chiesto il parere dell’egittologa Rita Freed, ex membro del comitato scientifico del Museo Egizio di Torino, direttrice (emerita) del Dipartimento di arte dell’antico Egitto, Nubia e Vicino Oriente del Museum of Fine Arts di Boston ed esperta di arte nubiana, sul perché il Museo sia così importante e sulle sfide che attendono l’Egittologia.

Di seguito, la trascrizione approvata delle dichiarazioni verbali di Rita Freed.

Il Museo Egizio di Torino è parte integrante della storia dell’Egittologia sotto vari punti di vista e questo ci riporta al ruolo fondamentale giocato dall’Italia nella riscoperta di questa terra. Già i Romani avevano un amore per l’antico Egitto che può essere considerato la prima delle tante «egittomanie» che hanno caratterizzato la cultura occidentale. L’Egizio possiede tesori degni di essere menzionati nei libri per quasi ogni periodo della storia faraonica. Sono anche presentati in modo comprensibile ed emozionale, come nel caso dei dipinti della Tomba di Iti da Gebelein, esposti in modo fedele alla loro posizione originale. O come il corredo funerario di Kha che consente di immergersi nella vita quotidiana di secoli fa. Non c’è altro museo al mondo che possieda qualcosa di simile. E poi i papiri. Nessuno conosce davvero la consistenza dell’intera collezione, ma vi sono documenti famosi che non ho neanche bisogno di menzionare. Il rinnovamento del museo poi gli ha conferito ulteriore fama nel mondo e la scelta di rendere visibili quanti più oggetti possibile si è rivelata vincente. I musei hanno passato varie fasi. In principio si privilegiavano i capolavori, poi si è passati a un’esposizione di tipo tematico. A Torino, oltre al percorso cronologico, si uniscono spettacolarità e percezione della vita quotidiana. Per gli egittologi è una festa, ma penso che lo sia anche per il pubblico e i numeri lo dimostrano. L’ultima volta che ho visitato il museo, quando ancora facevo parte del comitato scientifico, nel 2017 o poco dopo, l’ho fatto provando vera gioia

Per quanto riguarda invece le sfide future dell’Egittologia, queste sono molteplici. Una delle prime è che ci troviamo a vivere un’epoca in cui il politicamente corretto influisce moltissimo sul modo di trattare determinati argomenti. I musei sono chiamati a chiedersi se sia lecito esporre le mummie, molte didascalie devono essere ripensate per non urtare la sensibilità di alcuni gruppi o categorie di persone. Vi è poi il continuo miglioramento delle risorse disponibili su internet che mettono a disposizione di tutti foto e video ad altissima risoluzione. I musei devono perciò confrontarsi con la necessità di dare una nuova importanza agli oggetti delle sale, di farli parlare per quello che sono. Rendere gli oggetti competitivi con quanto l’utenza riesce a vedere sugli schermi si concretizza in un notevole dispendio di risorse finanziarie ed energie. Gli attuali spazi espositivi necessitano di una revisione che renda la fruizione degli oggetti maggiormente interattiva tenendo conto di un pubblico che è abituato a leggere sempre meno. Un’altra importante sfida, soprattutto per quanto riguarda i musei archeologici, è la corretta conservazione degli oggetti. Ai normali pericoli del mondo moderno, come l’inquinamento atmosferico, si è ora aggiunto anche il problema del cambiamento climatico che determina un maggiore tasso di umidità. Si sta perciò creando la necessità di realizzare edifici in cui il controllo dell’ambiente sia almeno monitorato con maggiore accuratezza. E qui torniamo al problema dei fondi che influiscono anche sulla didattica, altro aspetto che un museo non può non tenere in grandissimo conto. Servono finanziamenti e i governi hanno purtroppo altre priorità. Da ultimo un altro grande problema è che lo studio delle scienze umane sta perdendo molto terreno rispetto a quello delle materie scientifiche (Stem). La percezione dell’antico cambia e le nuove generazioni appaiono più rivolte verso l’arte contemporanea, verso manifestazioni artistiche più performative, ignorando però che anche queste attingono ispirazione dall’antichità. L’arte contemporanea è divertente e dovremmo perciò trovare il mondo di rendere anche l’arte egizia, e più in generale quell’antica, divertente

Autori vari, 18 novembre 2024 | © Riproduzione riservata

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