Andrea Merlotti
Leggi i suoi articoliPiù volte ho insistito sul carattere politico e identitario dei palazzi reali europei e sulle specificità che da ciò derivano per questa particolare categoria di bene culturale. La ricostruzione del Castello di Vilnius, inaugurato nel 2009, costituisce in questo senso un esempio da manuale.
Spesso la Lituania è vista in Italia come un piccolo Paese sul Baltico, noto per esser stato a lungo conteso fra Russia e Germania. Un tipico esempio di miopia storica per cui si interpreta il passato guardando solo ai suoi tempi più recenti.
Al contrario, volgendo gli occhi al Rinascimento e all’Età moderna, ci si rende conto che essa è stata per secoli un’importante realtà politica europea. Per le successive vicende storiche, ricche di eventi bellici e occupazioni militari, ben poco rimane a testimonianza del XVI secolo, l’epoca più gloriosa della storia lituana.
Molto è restato, invece, dell’Età barocca. A questo proposito, mi limito a ricordare che Czesław Miłosz, nel discorso tenuto a Stoccolma nel 1980 ricevendo il Premio Nobel per la letteratura, definì Vilnius, capitale del Paese, «una bizzarra città d’architettura barocca, trapiantata nelle foreste del Nord».
Questo carattere della città trovò un primo importante riconoscimento internazionale con l’inserimento del suo centro storico nella Lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco, nel 1991. Quando ciò avveniva, la Lituania aveva dichiarato l’indipendenza dall’Unione Sovietica da un anno, ponendo termine a un’occupazione di 50 anni. Per le autorità della giovane repubblica era fondamentale rientrare stabilmente in quell’Europa di cui il Paese era stato a lungo parte.
Un risultato che esse seppero raggiungere in meno di dieci anni, quelli trascorsi fra la richiesta d’adesione alla Comunità Europea, nel 1995, e l’ingresso in essa, nel 2004. Si trattò di un processo segnato da una vivace politica culturale, che mirava a raccontare all’Europa che cosa la Lituania fosse stata e che cosa intendeva tornare a essere.
All’interno di tale politica fu presa anche la decisione, discussa almeno dal 1993 e assunta ufficialmente nel 2000, di ricostruire il Castello di Vilnius. Il palazzo eretto nel Cinquecento da re Sigismondo Augusto Jagellone e da sua moglie Bona Sforza era stato bruciato e parzialmente abbattuto a metà Seicento da truppe svedesi e russe che avevano occupato la città.
Nel Settecento vi erano stati diversi progetti di ricostruzione, ma nessuno era andato in porto. La conquista russa della Lituania, nel 1795, aveva segnato il destino di quanto restava del palazzo. L’amministrazione zarista aveva infatti ordinato la sua totale demolizione. Si trattava quindi di un palazzo distrutto da oltre duecento anni.
La sua ricostruzione è stata un atto simbolico molto forte. Sin dall’inizio dei lavori si decise che l’inaugurazione sarebbe stata nel 2009. In tale data si sarebbe infatti celebrato il Millennium Lithuaniae, ossia la ricorrenza del primo utilizzo conosciuto del termine «Lituania» negli Annales Quedlinburgenses (una cronaca tedesca). Inoltre Vilnius era stata dichiarata per quell’anno Capitale Europea della Cultura.
La Lituania mostrava così di saper guardare bene a quanto capitava attorno a sé. Il modello della celebrazione era analogo a quello adottato dall’Austria nel 1996, quando aveva celebrato il proprio millennio in occasione dell’anniversario della prima attestazione dell’uso del nome Österreich.
Un «giubileo» che aveva creato, vale la pena ricordare, non poche discussioni, ma che costituiva un esempio perfetto per le esigenze lituane. Era inoltre evidente il confronto con quanto operato negli anni Settanta per il Palazzo Reale della vicina Varsavia. In entrambi i casi si trattava di un’operazione dal primario valore politico: ricostruire il palazzo per ritrovare quell’identità storica che altri, con la violenza, avevano voluto negare.
Come scrivono gli autori del volume ufficiale sul Castello, edito nel 2010, «la ricostruzione del Palazzo di Vilnius è vista dal pubblico come un tassello importante per la consapevolezza della propria identità nazionale e memoria storica».
Sarebbe facile interpretare la vicenda del Castello di Vilnius come un fenomeno tipico del tormentato ingresso nell’Occidente dell’Europa restata per decenni «oltre cortina». Ma in quegli stessi anni la decisione di ricostruire il Castello di Berlino mostrava come anche altri spazi europei si stessero interrogando su problemi analoghi. Un tema su cui tornerò prossimamente.
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