«Marazzi, le linee veloci» di Gianni Berengo Gardin

© Gianni Berengo Gardin e Marazzi Group

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«Marazzi, le linee veloci» di Gianni Berengo Gardin

© Gianni Berengo Gardin e Marazzi Group

Per Marazzi, Berengo Gardin utilizzò il colore

Al Palazzo Ducale di Sassuolo sono esposte 42 fotografie inedite in cui il fotografo abbandonò il bianco e nero su richiesta del committente

«Gianni Berengo Gardin. Marazzi, le linee veloci», aperta fino al 3 novembre nel Palazzo Ducale di Sassuolo-Gallerie Estensi, a cura di Alessandra Mauro, celebra l’incontro tra il fotografo Gianni Berengo Gardin e Marazzi, azienda leader nel settore della produzione ceramica, che nel 1977 lo chiamò per documentare la monocottura rapida, una tecnologia che rivoluzionò per sempre il processo di produzione delle piastrelle. Le 42 fotografie inedite hanno rappresentato una svolta per il fotografo che, come raramente ha fatto, ha abbandonato il suo amato bianco e nero per esplorare il colore. 

Gianni Berengo Gardin, nato nel 1930 a Santa Margherita Ligure e cresciuto a Venezia, è appassionato fin dall’infanzia di locomotive, aerei e grandi navi, oltre che fanatico di cioccolato e gelati. Nel 1963 ha vinto il World Press Photo Award e ad oggi ha pubblicato oltre 250 libri. Conserva più di un milione e 500mila negativi e ha realizzato oltre 200 mostre personali. Il suo lavoro più famoso rimane probabilmente Morire di classe, realizzato insieme a Carla Cerati e pubblicato da Franco Basaglia nel 1969, un’opera che documentò il mondo chiuso e sconosciuto dei manicomi italiani. Gardin, che ha appreso la tecnica fotografica dai libri e dal maestro Willy Ronis (Parigi, 1910-2009), conosciuto mentre lavorava come receptionist in un hotel di Parigi, si definisce non un artista, ma «un testimone della mia epoca». 

«Mi fu chiaro subito come la sfida professionale fosse quella di riuscire a cogliere il flusso veloce dei colori, la scia dinamica delle forme, sottolinea Gianni Berengo Gardin. Il colore, che ho usato sempre poco, s’imponeva, quindi, come scelta. Provai inoltre a lavorare in modo diverso da quel che normalmente facevo. Qui cambiavo spesso la distanza, avvicinandomi molto ai soggetti, per riuscire a cogliere i dettagli, i frammenti di quel che vedevo e realizzare così fotografie diverse dalle altre: sognanti, colorate, quasi astratte che anticipano in qualche modo un approccio concettuale inusuale a quell’epoca nella foto industriale». Se riflettendo sulla fabbrica il pensiero va al celebre «Tempi Moderni» di Charlie Chaplin «l’esito, commenta la curatrice, è totalmente diverso e invece dell’alienazione dell’operaio, inglobato nel meccanismo della macchina, qui sentiamo una sorta di sollievo, come se dalla macchina, ora, uscissero colori e forme in libertà. Forse è questa la grande differenza: nell’astrazione colorata di Berengo Gardin vediamo un’esplosione di tinte che non rimanda all’omologazione dei gesti sempre uguali come nel film di Chaplin, ma a un rincorrersi di forme diverse, ognuna nata dalla creatività di chi l’ha creata e di chi, poi, l’ha fotografata. Proprio la forma astratta piena di colore racchiude il segno poetico del lavoro realizzato per Marazzi da Berengo Gardin». 

Una mostra che svela la bellezza nascosta anche nel più tecnico dei processi, trasformando il meccanico in poesia. 

«Marazzi, le linee veloci» di Gianni Berengo Gardin. © Gianni Berengo Gardin e Marazzi Group

Rischa Paterlini, 15 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

Per Marazzi, Berengo Gardin utilizzò il colore | Rischa Paterlini

Per Marazzi, Berengo Gardin utilizzò il colore | Rischa Paterlini