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Pietro De Bernardi

© Fabio Petroni

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Pandolfini: «Vendiamo l’Ottocento da 100 anni»

Pietro De Bernardi, nipote di Cirano Pandolfini, è subentrato nel 2000 in qualità di amministratore delegato alla guida della casa d’aste più antica d’Italia

Elisabetta Matteucci

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Classe 1969, bocconiano, Pietro De Bernardi, nipote di Cirano Pandolfini, subentra nel 2000 in qualità di amministratore delegato alla guida della casa d’aste più antica d’Italia. Fondata nel 1924 dal cavalier Luigi Pandolfini, padre di Cirano, e con sede dalla metà degli anni Quaranta in Palazzo Ramirez Montalvo a Firenze, la Pandolfini Casa d’Aste ha incrementato la propria attività di vendita all’incanto di mobili, arredi e oggetti d’arte maturando una specializzazione sempre maggiore nell’arte del XIX secolo. Risale al 2019 il raggiungimento di un volume di affari tale da imporsi come la prima realtà in Italia soprattutto per il dipartimento della pittura del XIX e XX secolo. 

Pietro De Bernardi, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, quella Internazionale di Ca’ Pesaro e le Gallerie d’Arte Moderna di Milano, Torino e Firenze, unitamente agli istituti finanziari impegnati nella promozione di operazioni culturali rappresentano l’epicentro della musealizzazione della pittura e scultura italiana dell’Ottocento. In quale misura Pandolfini ha contribuito ad arricchirle?
A proposito dei programmi di acquisizione da parte degli istituti bancari e delle Gallerie nazionali, se è vero che le istituzioni rispondono a tempistiche non sempre conciliabili con i tempi scanditi dalle case d’asta, negli ultimi anni Pandolfini ha addirittura intensificato questo tipo di rapporti. Ciò è stato indubbiamente favorito dallo sviluppo delle trattative private, dinamica di vendita da noi particolarmente sviluppata nell’ultimo decennio, che offre alla clientela una modalità di trattativa più mirata e dai tempi meno serrati rispetto alle vendite all’incanto, stabilendo contatti diretti non solo con i collezionisti privati, ma anche con i responsabili delle acquisizioni degli Istituti e delle Gallerie interessati all’acquisto delle opere. Altro elemento che ci ha permesso di stabilire con le istituzioni un rapporto più stretto è quello della vendita all’asta di opere sottoposte a vincolo di notifica, cioè che non possono uscire dal territorio italiano. Questa iniziativa è stata premiata dall’interessamento di numerosi istituti e musei che, avendo a disposizione più tempo per poter confermare l’acquisto, possono di volta in volta seguire l’asta per le opere che interessano.

In ambito internazionale la storia dell’arte italiana è sempre stata associata alla cosiddetta Alta Epoca. Negli anni Trenta la situazione comincia a mutare grazie alle rassegne di Londra (1930), Parigi (1935) e Berlino (1937), tre tentativi pionieristici cui va riconosciuto il merito di aver contribuito ad ampliare la prospettiva tramite l’inclusione di sezioni dedicate alla cultura figurativa del XIX secolo. Dalla sua posizione privilegiata può indicarci quale profilo di rischio e quale rendimento presenta oggi l’acquisto di opere di tale periodo?
La pittura del XIX secolo ha rivestito un ruolo cardine nel mercato per tutto il secolo scorso, soprattutto nel dopoguerra, quando si sono formate alcune tra le più grandi collezioni di pittura italiana. In tale processo il ruolo delle case d’asta è stato decisivo tanto a livello italiano quanto internazionale. Come quelle dei maestri antichi, anche le opere dell’Ottocento sono sottoposte al vaglio della Soprintendenza, elemento certo da considerare in quanto a volte determinante per una valutazione corretta rispetto a opere degli stessi autori italiani che però si trovano all’estero. È fondamentale d’altro canto comprendere che la produzione di quello che è stato l’800 italiano coinvolge un breve periodo storico e una limitata produzione di opere. Ciò spiega la scarsità dei capolavori, in grande maggioranza già presso musei o difficilmente «rimessi in libertà» dai proprietari.

I progetti espositivi e le campagne di acquisizione perseguite dai musei, le strategie di offerta delle case d’asta e gli studi critici sono fattori essenziali per determinare i valori della produzione di un artista. Il sistema dell’arte è regolato da una logica complessa in cui il dato culturale non sempre trova corrispondenza nella quotazione di mercato. Come spiega la riconsiderazione economica che negli ultimi dieci anni ha riguardato la pittura dell’Ottocento? E quali pittori e scultori operanti in quel secolo si rivelano trainanti?
La pittura italiana dell’Ottocento non ha avuto una diffusione internazionale, come ad esempio quella francese, che ha beneficiato dell’azione di mercanti e collezionisti decisi a diffondere i propri artisti in tutto il mondo. Ad oggi gli artisti italiani con eco internazionale sono i pochi che hanno operato in città quali Londra e Parigi, mentre il nostro Ottocento ha avuto una grande risonanza e diffusione soprattutto in territorio italiano e fra collezionisti nazionali. In un mondo dove i ritmi vengono sempre più dettati dalla tecnologia e dai consumi, anche l’arte diviene necessità condizionata da eventi. Ma è altrettanto chiaro che l’arte antica, e in questo caso intendiamo anche quella del XIX secolo, non può avere la reperibilità e diffusione che invece offre l’arte contemporanea. Alla luce di ciò, la rarità di capolavori rende ancor più incisivi risultati come la recente aggiudicazione del bellissimo ritratto di Vittorio Maria Corcos, «Ritratto di Paolina Clelia Silvia Bondi», che seppure notificato è stato da noi aggiudicato lo scorso anno a una cifra record non solo per il mercato italiano. È possibile altresì individuare il profilarsi di un nuovo tipo di collezionista, generalmente professionisti e cultori delle opere dell’Ottocento e primo Novecento, intento a ricercare con gusto raffinato opere di artisti minori tanto in pittura quanto in scultura, con attenzione primaria alla qualità, piacevolezza e autenticità dell’opera. Sicuramente se la rarità, la freschezza del mercato e il soggetto rappresentano fattori chiave nella determinazione dei prezzi, in Italia ci sono tante possibilità di riscoprire lavori di buon livello. Infine è bene evidenziare il grande numero di importanti mostre dedicate all’Ottocento in questi ultimi due anni in Italia. Le diverse mostre dedicate a Giovanni Fattori e ai Macchiaioli, ai vedutisti napoletani alle Gallerie d’Italia e, più recentemente, la bella esposizione «Napoli Ottocento» alle Scuderie del Quirinale, la splendida mostra dedicata ai Preraffaelliti a Forlì, nonché un unicum quale il Museo dell’Ottocento Fondazione Di Persio-Pallotta a Pescara, stanno dando una grande visibilità alla pittura italiana dell’Ottocento, risvegliando anche un pubblico più giovane.

Nel mercato si registra un’evidente prevalenza di opere realizzate nella seconda metà del secolo rispetto a lavori di epoca neoclassica, purista o romantica. Qual è la ragione secondo il suo punto di vista?
Come dicevamo il gusto è cambiato e la produzione di primo Ottocento, quella più accademica, purista e neoclassica, interessa un pubblico più vicino alla pittura antica. I temi storici sono rivolti a una nicchia di collezionismo. La pittura romantica, per la piacevolezza dei temi e per l’esecuzione spesso più morbida e di facile comprensione, mantiene un interesse maggiore da parte del pubblico. I grandi e raffinati ritratti sono sempre ricercati. Ovviamente, la produzione pittorica della seconda metà dell’Ottocento stimola un collezionismo più legato al territorio.

«Guidando al bois» (1874) di Giuseppe De Nittis, firmato e datato

Elisabetta Matteucci, 25 giugno 2024 | © Riproduzione riservata

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