Federico Castelli Gattinara
Leggi i suoi articoliA maggio 2015 la conquista del sito archeologico di Palmira da parte di miliziani dell’Isis aveva scosso il mondo, con la decapitazione dell’archeologo Khaled al-Asaad e il tritolo con cui sono stati fatti saltare l’Arco Trionfale e i templi di Bel e Baal Shamim. Allora la Direzione generale delle antichità e dei musei di Damasco aveva compiuto una rischiosa missione per salvare almeno i tesori trasportabili del museo locale.
A febbraio 2016 era stata firmata l’intesa tra Governo italiano e Unesco per la costituzione della task force italiana della coalizione Unesco Unite4Heritage, i cosiddetti Caschi blu della cultura, seguita a marzo dalla riconquista del sito da parte delle truppe siriane appoggiate dai russi. Il mese scorso, durante la furiosa liberazione di Aleppo a carissimo prezzo di vite umane, duecento chilometri più a sud i miliziani hanno rioccupato a sorpresa la città moderna e il sito.
Ancora una volta la «sposa del deserto» è stata violata dai fanatici e la situazione «purtroppo non sembra essere particolarmente buona, ci ha spiegato il generale Fabrizio Parrulli, che da luglio scorso guida i Carabinieri Tpc ed è quindi un personaggio chiave dei neonati Caschi blu italiani, ma non abbiamo dati certi anche perché ci manca un controllo diretto sulla zona di Palmira». Il sito è in un’area dove le forze della coalizione anti Isis, composte da oltre 60 Paesi tra cui il nostro, non sono presenti, essendo state liberate dalle truppe governative siriane e dai russi.
«Ciò che abbiamo appreso della situazione è che le forze dell’Isis si sono parzialmente riappropriate anche del sito» e di conseguenza non ci sono le condizioni di sicurezza per una missione dei Caschi blu. Ma che cosa si può fare una volta liberata Palmira? «Se verremo chiamati a intervenire, la prima cosa da fare sarà una verifica, una valutazione e un’analisi dei danni che sono stati arrecati. Solo allora si potranno prevedere interventi per poter mettere in sicurezza l’area archeologica».
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