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«Utopia between genre and concept» schermata della pagina web https://false-utopia.com. Sara Bezovšek, 2021

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Nuove immagini: l’impatto ecologico della fotografia | La fotografia può aiutarci a immaginare un mondo migliore?

Solo ricostituendo i valori alla base della cultura visiva è possibile creare scenari alternativi che vadano oltre lo status quo

Jon Uriarte

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I package digitali del Giornale dell’Arte sono focus semestrali che presentano articoli di approfondimento commissionati per l’occasione ad autori internazionali. L’obiettivo è analizzare, discutere ed esplorare le tematiche più significative per la fotografia e la cultura visiva contemporanea attraverso voci autorevoli provenienti da diversi background.

Il lungotermismo

Recenti approcci ideologici, come il «lungotermismo» [1], promossi e finanziati dai proprietari delle maggiori aziende tecnologiche, hanno introdotto l’idea che l’umanità stia attualmente affrontando sfide apocalittiche che la pongono al bivio tra una totale estinzione o una «gloriosa» evoluzione. I sostenitori di tali ideologie affermano che l’unica metodologia per superare le incombenti minacce al futuro dell’umanità e portarci verso un futuro lontano e glorioso sia realizzabile solo attraverso il tecno-soluzionismo.

Prestando attenzione unicamente a problemi esistenziali come il cambiamento climatico o eventuali agenti patogeni prodotti dall’uomo e ignorando qualsiasi altro pericolo «non esistenziale» e le sue specificità, essi si rinchiudono in una cornice di pensiero estremamente limitata. Inoltre, queste figure sono sostenute da organizzazioni generosamente finanziate (le quali traggono profitto dagli stessi problemi che identificano come pericoli) e offrono una serie di soluzioni utilitaristiche che distolgono l’attenzione pubblica dall’attuale situazione di crisi, lasciando inalterate le strutture socio economiche problematiche.

I sostenitori di questa linea di pensiero elaborano e diffondono assunti che non lasciano spazio alla messa in discussione della propria tesi, deviando l’attenzione da altri potenziali scenari. Come suggerito da Mark Fisher nel suo influente saggio Realismo Capitalista, il rischio è che la loro logica sembri l’unica possibile, provocando un angosciante sentimento di disperazione. In un’epoca in cui le utopie e distopie alimentate da coloro che gestiscono lo status quo dominano la narrativa pubblica, c’è bisogno di un’immaginazione emancipatrice. Ma quest’ultima, ora come mai, sembra difficile da conseguire.

Siamo tutti consapevoli che l’attività antropica stia distruggendo gli ecosistemi che hanno permesso alla vita umana di prosperare fino ad ora, eppure sembriamo incapaci di immaginare un modo di vivere più sostenibile. Proprio per questo è importante riconoscere che qualsiasi azione ambientale significativa debba essere accompagnata da nuovi valori e da un cambiamento sociale sostanziale. È difficile immaginare uno scenario alternativo se i principi etici e le strutture sociali attuali rimangono invariati. Un approccio diverso, consapevole e impegnato, deve essere applicato alla maggior parte dei settori industriali, economici, sociali e culturali, comprese le arti e la fotografia. Ma prima ancora di poter immaginare un nuovo sistema di valori e cambiamenti pratici che potrebbero portare la fotografia a essere un medium sostenibile, è necessaria un’analisi critica del suo stato attuale.

Man mano che gli effetti dell’emergenza climatica sono diventati evidenti, istituzioni, aziende e professionisti del settore hanno iniziato a mettere in discussione l’impronta ecologica della fotografia, esplorando possibilità più sostenibili. Tra le soluzioni più popolari, sono state proposte tecniche alternative di stampa analogica ecosostenibile che utilizzano piante o materiali ecologici al posto di prodotti chimici industriali. Tuttavia, pur riconoscendo il suo elevato impatto ambientale, concentrarsi quasi esclusivamente sulla fotografia analogica può essere a dir poco fuorviante se l’obiettivo è agire sull’impronta ecologica della fotografia contemporanea.

Negli ultimi 30 anni il medium fotografico ha attraversato un importante processo di trasformazione che lo ha reso digitale e intrinsecamente connesso alla rete. Come dimostra chiaramente questo grafico, nel quale vengono confrontati dati relativi alla produzione di fotocamere analogiche, fotocamere digitali e smartphone, il processo analogico è ormai residuale rispetto alla fotografia prodotta dai telefoni cellulari, che è quella oggi dominante. La tecnologia di elaborazione computazionale delle immagini ha preso il sopravvento sull’ottica e sui processi meccanici, e così la fotografia automatizzata è salita alla ribalta sostituendo le competenze umane.

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Utopia between genre and concept

A questo punto, potrebbe essere utile esaminare perché le istituzioni fotografiche insistano nel concentrarsi su nozioni e tecnologie obsolete. Fin dalla sua nascita, la fotografia ha sviluppato una sindrome di inferiorità nei confronti di altre forme d’arte a causa delle sue capacità riproduttive, che durante l’epoca modernista erano viste come meramente meccaniche e prive di umanità. Mentre le principali istituzioni culturali esitavano a conferire alla fotografia la sua legittimità di disciplina artistica, professionisti, collezionisti e appassionati hanno fondato organizzazioni esclusivamente dedicate al medium. Anche se sono trascorsi più di cento anni, una certa fragilità persiste nel circuito auto-rinforzato formato da musei, gallerie, dipartimenti universitari e professionisti.

Nel frattempo, la fotografia ha subito un processo di liberalizzazione (termine che considero più adatto rispetto a «democratizzazione» per indicare la trasformazione che la fotografia ha vissuto a causa della sua digitalizzazione e messa in rete tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, poiché i profondi cambiamenti che il mezzo ha attraversato sono stati alimentati da interessi economici piuttosto che da processi democratici). Questa «liberalizzazione» è un processo alimentato dall’emergere della tecnologia digitale e di Internet, con cui lo status quo della fotografia è radicalmente cambiato.

Mentre i fotografi, le istituzioni, l’industria e gli «aficionados» perseverano nelle idee di unicità, originalità, paternità, arte o verità, la fotografia si è trasformata, ed è ora più legata a nozioni quali l’automazione, lo scambio sociale, la rete, la sorveglianza e la viralità. L’immagine fotografica oggi riguarda meno i concetti di memoria e di evidenza e più quelli di comunicazione e di statistica. Eppure, ancora oggi, la fotografia tradizionale viene esposta all’interno di cornici e passepartout, affinché si distingua nettamente da ciò che riguarda l’economia dell’attenzione e le logiche algoritmiche che regolano l’attuale regno visivo. Anche se molti fotografi continuano ad adottare esclusivamente tecniche analogiche, le loro immagini vengono immediatamente elevate a feticcio non appena sono digitalizzate per essere caricate online.

La divisione, tutta artificiale, tra la fotografia popolare e le pratiche artistiche consolidate è la prima delle sfide da riconoscere e superare. Il divario tra il linguaggio canonizzato e lo stato reale della fotografia deve essere affrontato per avere un quadro accurato delle azioni da intraprendere per ridurre l’impatto ambientale del medium. L’attenzione non dovrebbe essere rivolta al settore dei produttori di pellicole e macchine fotografiche «in via di estinzione», ma ad altri aspetti più urgenti, come le infrastrutture internet delle cosiddette «nuvole» (traduzione dall’inglese di «cloud», termine con cui si indica la tecnologia che permette l’archiviazione di dati in rete, Ndr) assetate di energia e di acqua, l’aumento delle dimensioni dei file di immagini e delle risoluzioni che riempiono i server nei data center e l’iper commercializzazione degli smartphone e loro obsolescenza programmata. L’attenzione dovrebbe essere rivolta alle dimensioni sempre crescenti di un’industria e di una cultura che hanno di gran lunga oltrepassato la quantità delle risorse materiali che le rendono possibili.

Analogamente alle minacce esistenziali per l’umanità di cui si preoccupano i sostenitori del lungotermismo sopracitati, gli opinionisti della fotografia annunciano costantemente la morte del medium senza analizzarne criticamente le strutture e lo status socioeconomico attuale. Tuttavia, invece di proporre soluzioni tecnologiche utopiche, insistono nel continuare a rafforzare un circuito obsoleto che mira a rimanere separato dal proprio sviluppo attuale.

Con il processo di digitalizzazione, il fotografo solitario (spesso mitizzato) e il suo apparato fotografico hanno perso importanza di fronte alle pratiche di appropriazione delle immagini, le quali oggi vengono diffuse in un batter d’occhio attraverso sistemi di cavi e satelliti, muovendosi tra agenti umani e non umani. La fotografia, tra le altre forme di cultura e comunicazione, è diventata una parte molto rilevante di una complessa infrastruttura, fatta di cavi in fibra ottica, server, centri dati, satelliti, router, telefoni, schermi, chip, terre rare e metalli, feed algoritmici dei social media, moderatori umani e automatizzati, proprietari di aziende ultra ricche e moderatori di contenuti visivi sottopagati.

Online Solar Protocol

La maggior parte dei dispositivi e delle infrastrutture della rete sono realizzati e mantenuti da grandi aziende tecnologiche che prendono decisioni con un unico scopo: il profitto. In questo contesto, la sostenibilità si configura solo come uno strumento di marketing che viene preso in considerazione solo se non ha un impatto negativo sul bilancio economico. Tuttavia, nelle sottoculture del mondo digitale, alcuni utenti hanno iniziato a esplorare approcci alternativi. Per esempio, il sito web di Low-Tech Magazine è ospitato su un server alimentato a energia solare che rimane accessibile finché c’è abbastanza sole nel luogo in cui è collocato il server, allineando la fruibilità dei contenuti alle condizioni meteorologiche piuttosto che alle logiche dell’economia dell’attenzione 24/7.

Allo stesso modo, il progetto online Solar Protocol, come si legge sul sito, «è gestito da una rete di server alimentati a energia solare e viene trasmesso dal server più soleggiato». Guidato da Tega Brain, Alex Nathanson e Benedetta Piantella, Solar Protocol comprende una mappa mondiale degli «steward» partecipanti, un manifesto, guide e documentazione tecnica, una biblioteca, e una mostra online composta da giochi, opere d’arte e testi relativi alle reti informatiche che funzionano a energia solare. Solar Protocol sperimenta una tipologia di «intelligenza naturale anziché artificiale», affidando il suo funzionamento a una rete di collaboratori volontari dislocati in diversi continenti, e così sfidando le strutture centralizzate degli attuali sistemi aziendali digitali.

Legata alle condizioni meteorologiche non è solo l’accessibilità, ma anche le immagini e l’estetica complessiva: «Il nostro software modifica lo stile e la risoluzione dei media di questo sito web in base alla quantità di energia accumulata nella batteria del server attivo. Ciò significa che il sito può apparire diverso a seconda delle ore del giorno o delle stagioni dell’anno. Se il livello della batteria del server attivo è basso, il sito viene visualizzato in modalità a bassa risoluzione, senza immagini. In questo modo si riducono le dimensioni della pagina e quindi l’energia necessaria per inviarla alle persone che la guardano su internet. Se l’energia accumulata è maggiore, il sito viene visualizzato a una risoluzione più alta, includendo media più pesanti come immagini e grafica».

Dato che la maggior parte del traffico online è costituito da contenuti visivi, è ovvio che la risoluzione e le dimensioni delle immagini devono essere prese in seria considerazione quando si esamina l’impronta ecologica della fotografia e di internet in generale. Anche se i sensori e gli schermi delle immagini si sono ridotti in modo significativo da quando gli smartphone sono diventati il principale dispositivo fotografico, grazie all’interpolazione algoritmica la risoluzione dei file è sempre più alta (e quindi le dimensioni sempre più grandi) perché questo rende i prodotti più appetibili commercialmente.

Schermata del sito Solar Protocol

«Permacomputing», «Small Technology», «Ecofeminist» e «Always Unfinished Space Making».

Inoltre, il costo contenuto dell’archiviazione online ha mantenuto la produzione di immagini in costante aumento, generando quantità infinite di immagini che vengono archiviate automaticamente su servizi cloud semidimenticati. La maggior parte di queste fotografie e video non sono pensate per essere memorie visive o documenti da conservare per i posteri, ma piuttosto scatti effimeri da condividere su app di messaggistica istantanea o sui social media. Tuttavia, una concezione obsoleta della fotografia, legata alla memoria e all’idea di testimonianza del reale, ci spinge a conservarle su server che richiedono grandi quantità di energia e acqua per mantenerle intatte. Come ho già scritto in Delete by Default [2], le sfide poste dall’emergenza climatica e le specificità dell’immagine in rete richiedono l’adozione non solo di tecnologie alternative, ma anche un cambiamento radicale dei valori alla base della cultura visiva.

La mostra digitale di Solar Protocol include il «Dizionario Ecofemminista» di Rosa di Marloes de Valk, frutto di una serie di conversazioni con comunità che esplorano infrastrutture alternative in rete. Il testo di Marloes arricchisce ulteriormente una raccolta di termini che già aveva iniziato a mettere insieme in precedenza, includendo voci molto suggestive come «Permacomputing», «Small Technology», «Ecofeminist» e «Always Unfinished Space Making».

Le idee, gli approcci e l’insieme di pratiche presentate nel testo di Marloes offrono uno spettro di possibilità di cui c’è profondo bisogno, possibilità che vanno al di là dei soliti e limitati immaginari corporativi. Il «Dizionario Ecofemminista»fornisce spunti di riflessione e sperimentazione creativa che, combinati con tecnologie alternative (come quelle messe in atto da Solar Protocol) offrono uno scenario diverso allo status quo, da cui almeno l’atto di immaginare diventa possibile.


Jon Uriarte è un curatore, educatore, scrittore e artista indipendente che lavora sulle trasformazioni digitali e virtuali dell’immagine. Recentemente è stato curatore di Getxophoto International Image Festival (Spagna) e della sezione digitale della Photographers’ Gallery (Regno Unito), dove continua a co-curare «Screen Walks» (in collaborazione con Marco de Mutiis, curatore digitale del Fotomuseum Winterthur in Svizzera). In precedenza ha diretto «DONE», un programma lanciato da Foto Colectania per analizzare il ruolo della fotografia nell’era post-digitale. Ha contribuito a diverse pubblicazioni accademiche e di ricerca, come Automated Photography, The Routledge Companion to Photography, Representation and Social Justice o Curating Digital Art. Ha esposto le sue opere a livello internazionale in diverse gallerie, festival e centri d’arte. Ha esperienza come responsabile di corsi in diverse organizzazioni di istruzione superiore e tiene regolarmente lezioni in diverse scuole di fotografia, design e cinema.


[1] Il lungotermismo è un punto di vista etico promosso dai filosofi di Oxford Toby Ord e William MacAskill che dà priorità al miglioramento del futuro a lungo termine per ridurre le attuali minacce esistenziali per l’umanità. È uno spin-off dell’altruismo efficace, un movimento filantropico fondato dagli stessi due filosofi che ha ricevuto grande attenzione da parte dei media nel novembre 2022, quando uno dei maggiori sostenitori del movimento, l’exchange di criptovalute FTX, è fallito. Il suo CEO Sam Bankman-Fried è attualmente in attesa di un processo che dovrà affrontare più di 100 anni di carcere per frode e altre accuse se condannato.
[2] Nel saggio Delete by Default immagino come potrebbe evolversi la fotografia per affrontare le sfide dettate dall’immagine in rete e dall’emergenza ambientale. Uriarte, J. (2023) Delete by Default, The Photographers’ Gallery: Unthinking Photography https://unthinking.photography/articles/delete-by-default
 

Jon Uriarte , 08 luglio 2023 | © Riproduzione riservata

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