Cristina Beltrami
Leggi i suoi articoliGiunta al suo decimo anno Asia Now (17-20 ottobre), fiera parigina nata con l’espressa volontà di dare maggiore visibilità in Europa alle realtà artistiche del Far East, conferma di aver saputo evolvere e maturare tra i tanti eventi germinati attorno all’allora Fiac e oggi gravitanti nell’orbita dell’ancora più articolata Art Basel Paris. Avvantaggiata anche dagli eventi politico-economici dell’area asiatica che gode di una certa stabilità politica e soprattutto di un Pil galoppante, Asia Now è oggi la vetrina per 45 Paesi dai tratti culturali forti e ben definiti.
Perrotin, colosso delle gallerie francesi che tra i primi ha esplorato le potenzialità dell’East, apre l’infilata del primo piano del palazzo della Monnaie con Ya Chin Chang, pittrice mid-career cinese di nascita ma fiorentina di formazione che, forte di una tecnica iperrealista, racconta di un mondo sospeso popolato unicamente dal cibo del proprio quotidiano. Le sue quotazioni vanno dai 15mila ai 20mila dollari. Poco più avanti la galleria Zilberman ha presentato alcuni fermo-immagine della complessa installazione video del giovane cinese Isaac Chong Wai che Adriano Pedrosa ha scelto anche per la Biennale veneziana.
Molte le gallerie che hanno puntato su artisti giovani, dando intelligentemente loro l’intero spazio, come la NiKa Project Space (Dubai) che presenta le installazioni ceramiche di Mirna Bahiem o la parigina Fille du calvaire che promuove Makiko Furuichi, artista giapponese che alterna e sovrappone con grande grazia acquerello, wallpaper e piccole tavole di ceramiche in un’installazione poeticamente immersiva.
Altre gallerie invece optano per la strategia opposta e presentano nomi storicizzati, di fama nelle aree geografiche in cui operano e che a Parigi cercano di aprirsi a un pubblico nuovo. È il caso della piccola monografica di Aki Kuroda presso lo stand della Yoyo Maeght, con valutazioni che vanno dai 2.500 ai 20mila euro, o della selezione di artisti del Gruppo Gutai della Galleria Nao Masaki (Tokyo) con prezzi che si aggirano attorno ai 12mila euro per i disegni e i 16mila euro per i dipinti. È sempre dedicato ad un artista giapponese, ma con una lunga storia italiana alle spalle, anche lo spazio di Tommaso Calabro: Tiger Tateishi ha infatti vissuto per anni a Milano dove ha collaborato con Ettore Sottsass e soprattutto dove è stato rappresentato da Alexander Iolas al quale appartenevano le opere proposte, con stime che vanno dai 4 ai 70mila euro.
Asia Now significa anche Fondazioni che sono a Parigi per dar voce al alcune straordinarie realtà locali come la produzione di kimono del collettivo giapponese Go for Kogei o la Prameya Art Foundation di New Delhi che occupa un intero corridoio con l’installazione grafica di Anupam Roy, artista emergente indiano che già nel 2019 si era aggiudicato il premio della Foundation for Indian Contemporary Art. Chi da sempre ha rappresentato l’arte indiana in Europa, aprendo pionieristicamente la via, è la galleria belga Modesti-Pedriolle (Bruxelles) che si conferma un punto di riferimento con un solo-show di T. Venkanna, il quarantatreenne artista indiano noto per i suoi acquerelli spregiudicati e i sontuosi arazzi a metà tra pittura e ricamo.
Buone le vendite sin ora da questo lato della Senna mentre nelle stesse date (17-20 ottobre) dalla parte opposta della città, a Le Carreau du Temple nel Marais, un’altra fiera ci ricorda come in un continente, Also Known As Africa (Akaa), esista una scena artistica quanto mai vivace. Già ne avevamo avuto idea dalla scorsa Biennale Architettura curata dalla anglo-ghanese Lesley Lokko nonché da alcuni artisti come El Anatsui, Lynette Yiadom-Boakye o Odili Donald Odita che da anni animano il panorama artistico internazionali e non a caso sono presenti anche nella sezione più paludata di Art Basel Paris (Jack Shainman Gallery).
Qui, lontani dal Gran Palais, tutto assume una dimensione più domestica, con opere che si lasciano conoscere. È facile tracciare due tratti che accomunano molte delle gallerie del progetto Akaa: l’accensione cromatica e una marcata materialità. Due aspetti che si riconoscono sia negli artisti che appartengono alla storia della cultura africana come Aboudramane Doumbouya, nato in Costa d’Avorio nel 1961, con alcune opere a metà tra scultura e la maquette architettonica, magistralmente allestite da Ablakassa (Abidjan, Costa d’Avorio) sia nei dipinti della trentunenne Lulama Wolf (Thk Gallery, Cape Town) dove la granulosità della tela è data dall’impasto del colore con la terra.
Vincono naturalmente per numero le gallerie francesi specializzate nella promozione di artisti dell’Africa e tra queste, chi ha accolto l’invito di questa fiera ad aprirsi al mondo caraibico è Olivier Waltman che presenta Dayron Gonzales, quarantenne pittore cubano, capace di una rara maestria nella gestione degli equilibri cromatici e dei pesi compositivi come in «Happy Family», ritratto a grandi dimensioni di una famiglia immaginaria (25mila euro).
Le gallerie italiane presenti a Parigi e vicine a questa linea di ricerca sono la milanese Primo Marella Gallery con dei grandi dipinti dell’ugandese mid-career Godwin Champs Namuyimba e la veneziana AKKA Project il cui boot ospita il risultato di un programma di residenza d’artista che la galleria porta avanti da anni: ultima della serie la trentenne Leila Rose Fanner, con alcune tele dall’intensa liricità ispirate alle specie vegetali dei giardini veneziani.
C’è spazio anche per la fotografia con scatti sempre intesi come strumento di denuncia, che siano la serie «Les incompris de la société» della trentenne ivoriana Aurélie Tiffy (110 Galerie Veronique Rieffel, Parigi) o che sia il sofisticatissimo lavoro di Marcelo Brodsky, senior artista attivista argentino rappresentato dalla berlinese Artco, qui con una serie di fotografie che documentano le battaglie portate avanti da Walter Rodney, paladino del pensiero panafricanista. Anche in questo caso i prezzi sono molto ragionevoli ed oscillano tra i 5 ai 7mila euro.
Certamente da un punto di vista finanziario, una volta fuori dal Gran Palais, tutto appare più «affordable».
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