Vittorio Sgarbi
Leggi i suoi articoliVoglio fare un ragionamento molto serio e, forse, inutile; però che faccia riflettere su tante cose che si vedono e si sentono, su questioni importanti per la vita dei cittadini e per la moralità pubblica. E però altre, che sono sotterranee, sulle quali si fanno grandi dichiarazioni d’intenti, passano inosservate, e sono trascurate dal presidente della Repubblica, a cui mi rivolgo, dal presidente del Consiglio, dal ministro dei Beni culturali, dai Carabinieri. Per quanto io abbia detto e scritto nel corso di questi anni, appare del tutto indifferente quello che invece viene poi manifestato retoricamente come gloria quando rientra in Italia la Dea di Morgantina. Viene dal Museo Getty, si sa che è stata portata via da un luogo con uno scavo clandestino, e torna ad Aidone, dove pochi la vedono, ma dove doveva stare. L’Italia non è terra di conquista. Cominciamo a vedere che cos’è questo nostro patrimonio, che c’è e che ci è stato portato via. La «Negazione di Pietro» di Caravaggio, quadro che stava in Italia fino al 1969. Stava a Napoli, in una casa dove l’hanno visto grandi studiosi, l’hanno guardato con interesse, dove è stato conservato per tanti anni. E io conosco la persona che ha dormito, bambina, davanti a questo quadro. Dov’è questo dipinto? Al Metropolitan Museum di New York. Possono i Carabinieri far finta di nulla? Può il direttore di quel museo aver favorito l’acquisto, o il dono, senza che l’Italia riottenga quel bene?
Va detto o non va detto? Valore di questo quadro: almeno 150 milioni di dollari. Questo l’abbiamo perso, con una esportazione clandestina e una falsificazione di documenti; non c’è nessun dato, se mai fosse passato legittimamente, che dica che è di Caravaggio, anche se è evidente e gli studiosi lo sapevano. Quegli studiosi sono complici, sono onesti, o forse hanno avuto qualche interesse a far vendere questo quadro in America? Andiamo avanti. Qualche mese fa, ebbi una polemica con il critico d’arte Daniele Benati, il quale aveva fatto la morale sullo spostamento di un dipinto di Raffaello dalla Pinacoteca di Bologna a Palazzo Fava, a Bologna, per qualche mese in una mostra che ha avuto un grande successo. Il dipinto è stato poi quattro mesi a Torino. Silenzio di tomba, nessuno ha fiatato degli illustri storici dell’arte: Benati, Ballarin, Ginzburg, Romano, Ottani Cavina. Vigliacchi e silenziosi. L’opera è stata a Torino, nulla di male, ma nessuno si è preoccupato. E quando, poi, un’opera come la «Vergine leggente» di Annibale Carracci,che stava a Bologna, viene portata a New York e venduta per 965mila dollari senza che ci sia traccia dell’esportazione, i signori Benati, e gli altri, tacciono. Ci sarà immoralità? Ci sarà mancanza di rispetto per il nostro patrimonio?
Andiamo avanti. Passa, qualche mese fa, da Christie’s, in America, il «Nu couché» di Modigliani, che è stato 90 anni in Italia: negli anni Venti nella collezione Gualino, poi nella collezione Mattioli. Difficile che un quadro, che è stato per quasi un secolo in Italia, possa serenamente uscire per andare presso un miliardario cinese, che ha comprato questo quadro in America per 170 milioni di dollari. Sarà regolare? Il Ministero dice di sì. Mi facciano vedere le carte. L’esportazione, anzi, l’importazione temporanea dal 1923, rinnovata ogni 5 anni, come vuole la legge. Impossibile. I Carabinieri tacciono e non indagano.
Andiamo avanti. Il 29 gennaio passa a Sotheby’s, a New York, la «Danae» capolavoro di Orazio Gentileschi, grande amico di Caravaggio, e padre di quella Artemisia che tutti conoscono. Un capolavoro assoluto, passato all’asta per 30 milioni di dollari. È finito al Getty Museum. Ebbene, questo quadro era in Italia fino al 1983, a Genova e poi ad Arenzano, visto da molti testimoni. Uscito come? Abusivamente. Vi risulta che il presidente del Consiglio, il ministro dei Beni culturali, i Carabinieri, abbiano fatto qualcosa dopo le mie denunce? Niente. Silenzio.
Questi quadri sono davanti agli occhi di tutti, nelle aste internazionali, sputtanando l’Italia e uno Stato che non esiste, che però copre le sculture quando viene il presidente iraniano, perché non soffra a vedere quattro uccelli e quattro passere. Soffre e, per ordine del cerimoniale iraniano, abbiamo ceduto la nostra dignità. Ancora. Non voglio polemizzare, voglio chiedere all’amico Brunelli, che è il curatore della bella mostra su Piero della Fancesca al Museo di San Domenico di Forlì, con un comitato in cui vigilano Antonio Paolucci, Fernando Mazzocca, illustri professori italiani e stranieri; e, ancora, Daniele Benati, e uno studioso che si chiama Alessandro De Marchi, che fa sempre la morale. Una «Madonna con il Bambino», già nella collezione Contini Bonacossi, è esposto come opera di Piero della Francesca. Io non credo che lo sia. Ma non è questa la materia. La mostra, con quadri bellissimi, è peraltro straordinaria.
Nel 1942, Longhi, grande studioso, dice che la «Madonna» è di Piero della Francesca. Poi, il quadro viene dimenticato; ora si scopre che non è stato vincolato, non è nella donazione della collezione Contini Bonacossi, finita agli Uffizi, e si trova in Cile. Ora, a me interessa dire: se non è di Piero della Francesca meglio, perché è uscita una patacca. Ma se, come pensano De Marchi, Benati, Mazzocca, Paolucci, Brunelli, altri studiosi, e il Ministero con loro, questo quadro è di Piero della Francesca, come fa a essere in Cile? Se è un quadro così importante, così straordinario, perché è in Cile? Perché non è in Italia? Perché non è agli Uffizi? Perché non è vincolato? Se non l’hanno vincolato è perché è stato giudicato, come dico io, un’opera modesta. Io ho fatto una critica alla brutta mano, al brutto piede, alla faccia insulsa del bambino, allo schiacciamento. Per me, come per molti, che mi hanno scritto, l’opera non è di Piero. Sfido qualcuno a dire che lo è. Scriva De Marchi che io ho sbagliato. Quindi, delle due l’una: o non è di Piero ed è lecito che lo abbia un cileno, prendendosi una ciofeca, o è di Piero e torni allora in Italia, torni a casa sua. Ridiamo dignità all’Italia e al suo patrimonio. L’Italia non è terra di conquista.
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