È noto che fino al Romanticismo i grandi pittori erano a capo di botteghe con molti apprendisti e aiutanti, ma come funzionava nella pratica questa collaborazione, e gli specialisti come riescono a distinguere la mano del maestro dalle altre? A tutte queste domande risponde la mostra «La bottega di Rubens», allestita dal 15 ottobre al 16 febbraio 2025 nel Museo del Prado, che conserva la maggiore collezione al mondo di dipinti di Pieter Paul Rubens (1577-1640), con più di 90 delle 1.500 opere che firmò il prolifico olandese. «Esponiamo diverse coppie di dipinti che rendono evidenti le differenze tra l’opera del maestro e quella dei suoi assistenti e illustrano come avveniva la collaborazione: si dipingeva per fasi, il maestro disegnava il bozzetto e dava inizio a un processo in cui intervenivano molte persone. Tutti gli aiutanti di Rubens erano professionisti, non assumeva giovani che dovevano ancora essere formati», spiega il curatore Alejandro Vergara, responsabile del Dipartimento della Pittura fiamminga e delle Scuole del Nord del Prado, che ha selezionato 16 dipinti e quattro incisioni. La maggioranza appartiene al Prado ma ci sono anche alcuni prestiti importanti, tra cui uno dei rari incompiuti di Rubens, che raffigura la sua seconda moglie Hélène Fourment con i figli, proveniente del Louvre.
«Da una collezione privata abbiamo ottenuto una copia del ritratto di Anna d’Austria, la regina dei quattro moschettieri, eccellente, anche se è opera della bottega», aggiunge Vergara, uno dei massimi esperti di Rubens. Per stimolare la partecipazione del pubblico tra i due ritratti ha collocato un codice Qr che spiega le caratteristiche di entrambi e invita a identificare l’originale e la copia. «Nell’originale si apprezza una maggiore spontaneità, si nota che il pittore decide, mentre dipinge, come avanzare, mentre nell’opera di bottega queste decisioni sono già state prese», continua il curatore, sottolineando che Rubens fu il pittore di maggior successo della sua epoca in Europa. «Tutte le opere della bottega avevano il “marchio” di Rubens, ma non tutte la stessa qualità né lo stesso prezzo. Possediamo molte lettere in cui si esplicita questa dinamica», assicura Vergara, menzionando una missiva in cui il pittore scrive al cliente che gli invierà una copia, perché l’originale gli costerebbe il doppio. «Non si conserva la contabilità, ma abbiamo molte lettere che Rubens scrive e firma in italiano, nelle quali spiega il suo metodo di lavoro. In una propone un scambio di dipinti per acquisire la collezione di sculture di un nobile inglese», racconta il curatore, ricordando che Rubens fu il maggiore collezionista di sculture del nord Europa e anche un grande collezionista di libri.
Per rendere più chiaro il processo di creazione, il curatore ha incaricato uno specialista in pittura storica di riprodurre l’opera «Mercurio e Argo» con le tecniche dell’epoca. Il processo, durato 8 mesi, è stato filmato e si proietta in mostra, ma l’elemento che rende particolarmente affascinante l’allestimento è la ricostruzione della bottega di Anversa, dove il pittore realizzò praticamente tutti i suoi quadri. La riproduzione è così fedele che nello spazio aleggia il caratteristico odore di trementina che permeava tutto l’ambiente, mentre cavalletti, pennelli, tele, tavolozze e oggetti (alcuni del ’600, altri moderni), oltre a una cappa, un cappello e una spada che alludono all’eleganza di Rubens, trasportano il visitatore nel tempo e nello spazio. Completa l’ambiente «L’allegoria della pittura», una tela di Jan Brueghel il Giovane, ispirata allo studio del pittore olandese, proveniente da una collezione privata.