Alessandra Ruffino
Leggi i suoi articoliDal 23 marzo al 28 luglio le Sale Chiablese dei Musei Reali ospitano la mostra «Guercino. Il mestiere del pittore», curata da Annamaria Bava dei Musei Reali e Gelsomina Spione dell’Università di Torino. L’idea di dedicare una mostra a Guercino (Giovan Francesco Barbieri, Cento, 1591-1666), pittore tra i più rappresentativi del Barocco, prende avvio da due ragioni principali: l’importante corpus di opere di sua mano presenti fin da inizio Seicento nelle collezioni reali (Galleria Sabauda e Biblioteca Reale) e in città (l’imponente «Madonna del Rosario», 1635, in San Domenico e le tele di bottega nell’Oratorio di San Filippo, 1650 ca) e la ricca documentazione d’epoca, soprattutto il Libro dei conti (1629-66), che permette di conoscere l’attività del maestro da fonti di prima mano.
Il progetto espositivo, spiegano le curatrici, si propone di «essere leggibile su due piani: quello dell’artista e quello del mestiere, con l’intenzione di raccontare al grande pubblico che cosa volesse dire fare il pittore nel Seicento. L’obiettivo di fondo è far ragionare il pubblico in modo diverso da quando visita una monografica, facendo vedere che cosa c’è dietro un’opera». A distinguere questa iniziativa dalle non rare retrospettive dedicate a Guercino è proprio il taglio incentrato su una ricostruzione della carriera del «gran coloritore» (così lo definiva Carlo Cesare Malvasia), che mette in risalto, oltre ai macrodati storici, tanti aspetti meno noti connessi alla quotidianità del mestiere.
La mostra vuole insomma introdurre i visitatori in una bottega di pittura di quattro secoli fa, organizzata come una moderna impresa commerciale, ovvero con una precisa suddivisione del lavoro, tariffe di vendita, pratiche e regole riguardanti sia l’acquisto dei materiali o la modalità di spedizione delle opere, sia le relazioni con intermediari e committenti o la replica in serie di soggetti particolarmente richiesti dai collezionisti.
A eccezione di un soggiorno romano durante il breve pontificato del bolognese Alessandro Ludovisi (1621-23), Guercino scelse di vivere e lavorare sempre tra Cento e Bologna: la sua reputazione era tale da far sì che le sue opere venissero acquistate direttamente in bottega; per tutta la vita, fa notare Gelsomina Spione, Guercino «è sempre stato fortunato, godendo di un notevole successo di pubblico e, diremmo oggi, di critica». La scelta di restare in provincia, osservano le curatrici, rispecchiava lo status di pittore affermato che «se lo poteva permettere» e rispondeva pure a una sorta di scelta di vita slow. A testimoniare l’amore di Guercino per la propria terra restano, tra l’altro, molti ottimi disegni di paesaggio (i dintorni di Cento riconoscibili in questi schizzi sono tuttora sorprendentemente integri) che, sottolinea Annamaria Bava, ben fanno emergere «la capacità di Guercino di registrare quello che aveva intorno con straordinaria naturalezza».
Presentando oltre 100 opere tra pitture, incisioni e disegni (con prestiti da oltre 30 musei e istituzioni), la rassegna dà vita a un grande affresco del sistema dell’arte secentesco illustrando il contesto di riferimento e d’azione di Guercino e mettendo le sue opere in dialogo con quelle di altri protagonisti della pittura dell’epoca: Guido Reni, i Carracci, Domenichino, Scarsellino... Un percorso in 11 sezioni, aperto da un raro autoritratto (1630-32), propone dei focus sulla formazione del pittore, sul paesaggio, sull’Accademia del Nudo aperta da Guercino a Cento nel 1616 e sulla geografia delle committenze, per poi presentare alcuni insiemi tematici dedicati a «Natura e oggetti in posa», alla «Riproposizione dei modelli», al «Mercato dell’arte», al tipico intreccio barocco di «Scienza e magia». Due sezioni finali omaggiano il gusto di Guercino e del tempo suo per la mise-en-scène: «Il gran teatro della pittura» e «Sibille e Femmes fortes», una «galeria» di donne valenti e celebri che ha come special guest l’iconica «Sibilla Cumana» del Domenichino, pittore che s’era inventato «un colorito anch’egli moderno, proprio, e tremendo, mezzo tra la delicatezza di Guido, e la forza del Guercino» (C.C. Malvasia, Felsina pittrice, 1678, p. 338).
Tra i meriti della mostra, l’opportunità di vedere riunito a Torino per la prima volta il Ciclo Ludovisi (1616-17): quattro tele dipinte da Guercino per Alessandro Ludovisi (poi papa Gregorio XV) e il nipote Ludovico: «Lot e le figlie» proveniente dall’Escorial, «Susanna e i vecchioni» dal Prado, la «Resurrezione di Tabita» da Uffizi-Palazzo Pitti e il «Ritorno del figliol prodigo» dei Musei Reali. Previste per il 7-8 maggio due giornate studio, organizzate e ospitate da Università di Torino e Musei Reali.
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