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Una veduta dell’installazione di Maurizio Cattelan per il Padiglione della Santa Sede alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte-La Biennale di Venezia ospitato nella Casa di reclusione femminile alla Giudecca

Foto Marco Cremascoli

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Una veduta dell’installazione di Maurizio Cattelan per il Padiglione della Santa Sede alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte-La Biennale di Venezia ospitato nella Casa di reclusione femminile alla Giudecca

Foto Marco Cremascoli

Nel Padiglione della Santa Sede, l’arte per non sentirsi sole

Intitolata «Con i miei occhi», la terza partecipazione vaticana porta nella Casa di reclusione femminile di Venezia, alla Giudecca, opere di Maurizio Cattelan, Bintou Dembélé, Simone Fattal, Claire Fontaine, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana, e Claire Tabouret, scelte da Chiara Parisi e Bruno Racine, creando una connessione tra libertà, detenzione e prigionia

Michela Moro

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Già da lontano l’impatto è notevole: le piante dei due enormi piedi nudi, vecchi e sporchi, parlano di fatica e sofferenza, e non si può distogliere lo sguardo, pensando al Cristo del Mantegna. È «Father» l’opera che Maurizio Cattelan ha installato sulla parete esterna della Cappella della Casa di Reclusione Femminile di Venezia, Giudecca, e che segnala il Padiglione della Santa Sede alla Biennale Arte (fino al 24 novembre), alla sua terza partecipazione, dopo le edizioni del 2013 e 2015 all’Arsenale, e quelle alla Biennale Architettura nei giardini della Fondazione Cini nel 2018 e 2023. Il Padiglione ha per titolo «Con i miei occhi», e pone l’attenzione su argomenti centrali del pontificato di papa Francesco, primo pontefice nella storia a visitare la Biennale: i diritti umani e la figura degli ultimi, tematiche che ben si inseriscono nella mostra internazionale «Stranieri ovunque», curata dal brasiliano Adriano Pedrosa. Il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede e Commissario del Padiglione, ha affidato la curatela a Chiara Parisi, direttrice del Centre Pompidou-Metz, e a Bruno Racine, direttore di Palazzo Grassi – Punta della Dogana, che a loro volta hanno chiamato Maurizio Cattelan, Bintou Dembélé, Simone Fattal, Claire Fontaine, Sonia Gomes, Corita Kent, Marco Perego & Zoe Saldana, e Claire Tabouret. A distanza di settimane dalla visita resta indelebile proprio il rapporto creatosi con l’arte, che prepotentemente è entrata nel carcere della Giudecca, dove un’ottantina di ospiti trascorrono la propria pena. La visita segue regole precise: gruppetto compatto, niente foto né cellulari, niente interazione con le detenute, malgrado siano loro le nostre guide.

Simone Fattal, Padiglione della Santa Sede, 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, «Con i miei occhi», installation view, ph. Marco Cremascoli

Corita Kent, Padiglione della Santa Sede, 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, «Con i miei occhi», installation view, ph. Marco Cremascoli

Forse è questa mancanza di supporti contemporanei ad affinare i sensi e l’attenzione, forse è la calma irreale dell’antico monastero del XII secolo, che appare lontanissimo dalla frenesia veneziana, a far sì che l’arte diventi in maniera profonda il tramite tra noi e loro, traducendo le emozioni delle detenute in modo così potente da farle arrivare dritte al nostro cuore. Le guide/detenute Paola ed Emanuela, eleganti nelle divise bianche e nere realizzate nella sartoria del carcere, sono alle prime visite, e le spiegazioni sulle varie opere si mescolano ai dettagli personali che forniscono inconsapevolmente. Le placche di lava di Simone Fattal, che riportano poesie e testi delle detenute, sono appese nel lungo passaggio esterno. «C’è anche una mia poesia», dice una delle due mentre leggo, «odore di limone e vaniglia, pranzo di famiglia e-…hanno il tuo nome le mie ferite…». Entriamo nella caffetteria, dove sono appese le opere di Corita Kent (1918-86), ex suora e attivista della Pop art americana che nelle parole della guida «usa la pace e la giustizia sociale per esprimere l’arte»; sui tavoli libri senza scadenza e i cataloghi colorati della Kent. Attraversiamo un orto «tutto biologico, vendiamo la verdura al mercato del giovedì», dove stanno lavorando con vecchi attrezzi alcune detenute in tuta. Ci distrae la gigantesca chiave di ottone che un poliziotto utilizza per aprire una porta. Proseguendo si arriva a un immenso cortile, un albero è avvolto in una coperta all’uncinetto con la scritta «No alla violenza», nei muri si spalancano grandi finestre: sono i dormitori da cui si possono vedere le scritte al neon di Claire Fontaine «Siamo con voi nella notte» e «White Sight», «queste sono opere che non ti fan sentire sola».

 

Claire Fontaine, Padiglione della Santa Sede, 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, «Con i miei occhi», installation view, ph. Marco Cremascoli

Sonia Gomes, Padiglione della Santa Sede, 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, «Con i miei occhi», installation view, ph. Marco Cremascoli

Mentre passiamo davanti alla sala colloqui Paola commenta «è un’emozione forte vedere gente da fuori, è gente diversa». Accompagnati da tre poliziotti ci sediamo su panche di legno per vedere il film di Marco Perego, regista, e Zoe Saldana, star americana di «Avatar», cortometraggio di 15 minuti in bianco e nero girato nel carcere, sull’uscita di una detenuta. Quando nel film Zoe oltrepassa la soglia del carcere, il suono è di tazze che sbattono, non di applausi. Si riconoscono tra le comparse le giardiniere e le guide. In una piccola sala espositiva sono raccolti i dipinti che ha realizzato Claire Tabouret «Noi donne le abbiamo dato le foto di famigliari, è un’emozione perché sono figli e nipoti delle detenute. C’è un ritratto di me a undici mesi che imparo a camminare con mia madre, credo che Claire Tabouret abbia fatto proprio un capolavoro». Il tono orgoglioso sa di riscossa, grazie all’arte ancora una volta. Concludiamo la visita nella Chiesa, sconsacrata, di Santa Maddalena detta «delle Convertite», siamo all’interno, dietro la parete di Cattelan. Sonia Gomes, origino afro e cultura brasiliana, ha appeso le sue sculture coloratissime a un filo che scende direttamente dal cielo, mentre la musica si insinua tra le opere. Nessuno parla, è ora di uscire. Recuperiamo allo sportello esterno del carcere le nostre carte d’identità. Adesso ne abbiamo una forse migliore.

Michela Moro, 07 giugno 2024 | © Riproduzione riservata

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