Elena Goukassian
Leggi i suoi articoliNel settembre 2020, per l’ennesima volta, la regione del Nagorno Karabakh faceva esplodere la violenza tra Armenia e Azerbaigian. Le ostilità sono durate sei settimane con la vittoria dell’Azerbaigian. Il 9 novembre 2020 è stato firmato un accordo di cessate il fuoco che ha visto l’Armenia cedere all’Azerbaigian i territori circostanti la regione contesa, oggetto di conflitto tra i due Stati nazionali dal 1988.
Il conflitto, tuttavia, continua a devastare la vita di coloro che considerano il Nagorno Karabakh la loro casa, sfociando sporadicamente ma costantemente, nella violenza con oltre 300 vittime solo nello scorso settembre. A giugno 2021 «The Art Newspaper», l’edizione internazionale di «Il Giornale dell’Arte», pubblicava per la prima volta una serie di immagini di spionaggio scattate negli anni Settanta dagli Stati Uniti, in piena Guerra Fredda. Un rapporto investigativo di Simon Maghakyan, direttore esecutivo di Save Armenian Monuments, , ha esaminato le immagini fornite da Caucasus Heritage Watch (Chw), un progetto indipendente di monitoraggio e ricerca delle università statunitensi Cornell e Purdue.
L’indagine di Maghakyan si è concentrata sui monumenti distrutti della città di Agulis, nella vicina regione di Nakhichevan, che, pur essendo ufficialmente autonoma, è sotto il controllo dell’Azerbaigian. Ne è emerso che i siti del patrimonio culturale armeno presenti da secoli ad Agulis sono stati «completamente cancellati». Maghakyan ha anche espresso timore per l’ulteriore distruzione del patrimonio armeno nella regione e in tutto l’Azerbaigian: «Dire che questi siti del patrimonio sacro sono a rischio, ha scritto, potrebbe essere un colossale eufemismo».
La cancellazione culturale di cui parla Maghakyan continua senza sosta. A settembre Chw ha pubblicato l’ultimo di una serie di rapporti che mettono a confronto le immagini satellitari contemporanee della regione con quelle degli anni Settanta e Ottanta. Il campo dell’indagine condotta da Maghakyan ad Agulis si è ora esteso anche all’intero Nakhichevan.
Prendendo come base il lavoro pionieristico di Maghakyan, il rapporto descrive nel dettaglio la distruzione, sostenuta dallo Stato azero, di quasi tutto il 98% dei siti del patrimonio armeno nel Nakhichevan. Gli autori del rapporto temono che i siti del patrimonio armeno nel Nagorno Karabakh, un’area di circa 4mila kmq, stiano affrontando lo stesso destino di quelli del Nakhichevan.
Adam T. Smith, archeologo e professore di Antropologia presso la Cornell University nonché cofondatore di Chw, lavora nel Caucaso dal 1992. «Chw documenta come i siti del patrimonio culturale siano stati presi sempre più di mira nell’ambito di questo conflitto, afferma. In quanto archeologi parliamo per i monumenti che non possono parlare da soli».
I rapporti di Chw combinano i risultati delle immagini satellitari, che sono state analizzate con l’ausilio di tecnologie quali i sistemi informativi geografici (Gis) e l’analisi dei dati spaziali. «Non siamo i primi archeologi a usare le immagini satellitari per documentare questo tipo di distruzione, osserva Lori Khatchadourian, docente di Studi del Vicino Oriente alla Cornell e cofondatrice di Chw. È un tipo di tecnologia, così come i Gis, che permette di osservare il patrimonio culturale in zone di conflitto inaccessibili o dove forze potenti cercano di mettere a tacere la verità».
Strategie di distruzione
Il rapporto di Chw sul Nakhichevan rivela che tra il 1997 e il 2011 sono stati completamente distrutti 108 monasteri, chiese e cimiteri armeni medievali e della prima età moderna. Si sono salvati solo due siti armeni, i cui dettagli gli autori hanno volutamente omesso per proteggerli. Tra i siti distrutti, Smith e Khatchadourian ne segnalano diversi che sono indicativi di strategie di distruzione mirate.
La Chiesa di Mijin Ankuzik a Nakhichevan, ad esempio, era già in rovina da decenni prima di essere rasa al suolo a un certo punto prima del 2009 (quando le immagini satellitari mostrano la sua distruzione). «L’intero villaggio è un paesaggio postapocalittico e in rovina, racconta Khatchadourian. Eppure il resto del villaggio è rimasto intatto; la chiesa è l’unica struttura ad essere stata rasa al suolo».
Il rapporto descrive come lo Stato azero abbia preso di mira in particolare i cimiteri armeni, nel tentativo apparente di cancellare l’esistenza delle famiglie armene che hanno vissuto, sono morte e sono state sepolte nella regione. «Sono stati sradicati anche i fantasmi del passato», commenta Smith. Il Nuovo Cimitero Armeno di Nakhichevan, ad esempio, è stato raso al suolo qualche tempo prima del 2005. «Le immagini satellitari mostrano che esattamente sulle tracce del luogo in cui si trovava il cimitero è stato costruito un enorme monumento alla bandiera azera, afferma Khatchadourian. Questa riappropriazione non è stata casuale. È una violenza attiva e simbolica».
L’Azerbaigian è in gran parte un Paese musulmano e il terreno su cui sorgevano altri siti del patrimonio armeno ora ospita moschee ed edifici civici statali. Su quello che un tempo era il sito del Monastero di San Tovma di Agulis, descritto dal Chw come «uno dei più importanti centri religiosi dell’Armenia medievale», ora svetta una nuova moschea.
«La distruzione dei monumenti armeni a Nakhichevan costituisce una cancellazione culturale, rimarca Smith, aggiungendo che questa politica silenziosa dello Stato è diversa da qualsiasi altra mai vista prima. Può cancellare intere comunità e stiamo perdendo interi paesaggi culturali. Si tratta di una tragedia per comunità che hanno vissuto fianco a fianco per secoli, ma che sono state separate nel giro di trent’anni».
Smith e Khatchadourian sottolineano che gli armeni hanno danneggiato siti culturali azeri e islamici anche nei territori contesi: un tema che sarà al centro del prossimo rapporto di Chw. Per Khatchadourian più che di un programma di cancellazione culturale e storica sponsorizzato dal governo si tratta di un «fallimento di gestione» .
Nel Nagorno Karabakh Chw sta monitorando oltre 200 monasteri, chiese, cimiteri e siti culturali armeni. Il Governo azero, dal parte sua, nega la distruzione sistematica dei siti del patrimonio armeno. «Stiamo inserendo fatti e dati empirici reali in un conflitto che è pieno di propaganda, conclude Smith. Non possiamo certo risolvere il conflitto, ma possiamo almeno fornire un’analisi di quanto sta accadendo».
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