Georgina Adam
Leggi i suoi articoliLa Germania è il Paese al mondo con il maggior numero di musei privati d’arte contemporanea: sono 60, uno in più degli Stati Uniti. L’Italia si piazza al quarto posto, con 30, a pari merito con la Cina.
L’indagine (per continente, nazione e città, assetto giuridico e gestionale, utilizzo dei social media...) è stata realizzata da Christoph Noe, fondatore della società di dati sui collezionisti d’arte Larry’s List (www.larryslist.com, scaricabile gratuitamente fino al 30 giugno), in collaborazione con un team di ricercatori tra cui Jamie Bennett di Hong Kong (responsabile del progetto) e Olav Velthuis, professore del Dipartimento di Sociologia presso l’Università di Amsterdam.
Una crescita esplosiva
Il numero di musei registrati risulta in forte crescita, dai 317 del precedente rapporto stilato nel 2016 ai 446 di quest’anno. Anche la classifica è cambiata: nel 2016 la Corea del Sud era al primo posto, mentre la Germania era solo terza. Questa volta sono cinque i Paesi che dominano la classifica: Germania (60), Stati Uniti (59), Corea del Sud (50), Cina (30) e Italia (30). È interessante notare che questi Paesi ospitano la metà di tutti i musei privati del mondo, non necessariamente i più grandi, ma il loro numero supera quello degli altri 54 Paesi in classifica.
Tra le città, il primo posto a Seul con 17 musei; seguono Berlino con 14, Pechino con 11, New York con 10 e Atene con 9. Secondo il database navigabile (privatemuseumresearch.org) dell’Università di Amsterdam, partner della ricerca, Roma avrebbe 4 spazi, mentre due sono censiti rispettivamente a Milano e Torino (dove però risultano solo la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e la Pinacoteca Agnelli e non, ad esempio, la Fondazione Merz).
Secondo Noe, è più probabile che i collezionisti di questi cinque Paesi siano maggiormente disponibili o interessati a rendere le loro collezioni fisicamente disponibili al pubblico, anche nel caso in cui dispongano solo di un piccolo spazio dedicato alla visita. «Non è questo il caso della Cina e della Corea del Sud, dove sono presenti invece allestimenti museali di dimensioni piuttosto ambiziose», afferma.
L’Asia, inevitabilmente, riveste un’importanza crescente in questo panorama. Non a caso il rapporto dedica un focus specifico alla Corea del Sud e in particolare alla sua capitale Seul, la città con il maggior numero di musei d’arte privati al mondo. «Seul è il luogo in cui si è formato il mercato dell’arte in Corea del Sud e in cui sono stati costruiti i primi musei d’arte, e la presenza delle aziende è forte», spiega Noe. E aggiunge: «I Millennials [nati tra il 1981 e il 1996, Ndr] e la Generazione Z [1997-2012, Ndr] rappresentano più di un terzo della popolazione di Seul, dove i musei sono fortemente impegnati ad attrarre i giovani fruitori dell’arte».
Il dato sorprendente è che, secondo il rapporto, l’82% di tutti i musei privati d’arte contemporanea esistenti è stato fondato a partire dal 2000, e 152 sono stati istituiti solo nell’ultimo decennio. Nello specifico campo della presenza sui social dei musei privati, il primo posto è appannaggio della Saatchi Gallery di Londra (con più di 2,1 milioni di follower), seguita dal Museo d’Arte Latinoamericana (Malba) di Buenos Aires con 607 mila e, terza del podio e prima in Italia, la Fondazione Prada di Milano con 493mila follower. La fondazione milanese è alla guida della classifica italiana, insieme alla Collezione Pinault con sedi a Venezia e alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino.
Spirito di emulazione
«Ovviamente, avere un proprio museo è legato alle risorse disponibili: è necessario possedere una collezione da esporre, molti soldi e uno spazio adeguato, fa notare Noe. Ma assistiamo senza dubbio a una tendenza. I fondatori osservano ciò che fanno gli altri e tendono a emularli. Avere un proprio museo è il più prestigioso status symbol possibile, tuttavia non si tratta solo di vanità. In molti c’è anche il desiderio di condividere la propria collezione con gli altri».
E aggiunge: «Concorre anche il fatto che l’accesso agli artisti e alle opere d’arte più ricercate risulta molto più facile se sono destinate a un museo». Infine, osserva: «I fondatori e titolari di musei privati vedono la necessità di coltivare e proteggere la cultura e, in molti casi, di colmare il vuoto lasciato dalla mancanza di istituzioni pubbliche. E loro hanno le risorse per farlo. Negli ultimi anni, quindi, il collezionista privato ha sviluppato un carattere sempre più di natura “pubblica”, istituzionale».
Le cifre del report, inevitabilmente, non sono definitive, e le stesse definizioni e individuazione dei soggetti possono essere difficili. Noe afferma però che il suo team ha migliorato le modalità di raccolta dei dati e la metodologia di indagine rispetto al primo rapporto, il che influisce in parte sulla quantità e qualità dei risultati.
Per quanto riguarda l’effetto sul mercato dell’arte di tutti questi nuovi musei, Noe si dichiara entusiasta: «La crescita quantitativa è al 100% una buona notizia, osserva. Tutti questi musei privati forniscono ispirazione a livello globale, svolgono un ruolo fondamentale nel dare agli artisti una maggiore visibilità». Inoltre, «in un momento in cui il sostegno pubblico ai musei pubblici non è certo in crescita, afferma diplomaticamente, i musei di proprietà privata costituiscono straordinarie vetrine per l’arte contemporanea». Cosa che lui, che è anche un art advisor, non può che apprezzare.
Georgina Adam è autrice di The Rise and Rise of the Private Art Museum, Lund Humphries, 2021 (tr. it. L’inarrestabile ascesa dei musei privati, trad. di Mariella Milan, 96 pp., Johan & Levi, Milano 2021, € 13,00)
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