Tina Lepri
Leggi i suoi articoliSarà più di un museo, una piccola città della scienza quella che sta nascendo nei 10mila metri quadrati di una delle caserme abbandonate del quartiere Flaminio, di fronte al MaXXI di Zaha Hadid. I fondi a disposizione sono per ora i 43 milioni della Cassa Depositi e Prestiti, proprietaria dell’intera area.
Ma il progetto è assai più ampio: prevede anche la creazione di un nuovo «polo civico» che interesserà le altre caserme vuote lungo via Guido Reni, in parte vincolate dalla Soprintendenza. Il via ufficiale dell’intero complesso è arrivato dal Comune di Roma e dalla Regione Lazio. L’intero quartiere cambierà volto con Museo della Scienza e MaXXI come punti di riferimento, per un dialogo tra arte e scienza importante non soltanto per la città.
Del progetto si discuteva da anni. Nel 2015 era stato anche lanciato un concorso, vinto dallo studio dell’architetto Paola Viganò, per la trasformazione dell’area che comprenderà anche edifici di edilizia sociale, un albergo, spazi commerciali, giardini. Da allora tutto si era arenato tra veti incrociati, cambi di amministrazione, scontri politici.
La svolta positiva è arrivata alla vigilia delle elezioni comunali del 2021, anche su iniziativa dell’Accademia Nazionale dei Lincei che si è sempre battuta per la creazione in quel luogo di un Museo della Scienza.
Il nuovo sindaco Roberto Gualtieri ha appoggiato l’appello e ridato forze a una delle grandi opere dimenticate di Roma, che vanta un patrimonio di biblioteche, documenti e strumenti scientifici disperso in collezioni private e depositi universitari, e una tradizione di studi con grandi nomi come Marconi, Enriques e Fermi. Il museo dovrebbe diventare centro di collegamento digitale del patrimonio scientifico della città.
Ma l’Italia è antiscientifica
Se è vero che Roma è l’unica grande capitale europea priva di un Museo della Scienza, l’intera Italia non può vantare grandi istituzioni museali, né dedicate alla storia delle scienze, né alla innovazioni più recenti. Conferma, forse, di una visione (notoria e tutta nostrana) della cultura scientifica come subalterna a quella umanistica (a proposito: quando sarà considerato «normale» un presidente della Repubblica laureato in materie scientifiche come Angela Merkel?).
A Torino, capitale dell’industria e della cultura politecnica, il Museo Regionale di Storia Naturale è chiuso da anni e se è previsto uno Science Center dedicato all’aerospazio, al momento la città offre solo musei tematici e settoriali come il quello dell’automobile (privato) e A come Ambiente, oltre ai (piccoli e preziosi) musei scientifici universitari.
Milano vanta un’eccellenza come il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, oltre al Museo di Storia Naturale, tanto precoce quanto tradizionale. Importante, a Firenze, il Museo Galileo, in costante aggiornamento. A Napoli, 8 anni dopo l’incendio doloso, è tutto fermo alla Città della Scienza. L’unico grande progetto recente in Italia è il Muse, il Museo delle Scienze di Trento: innovativo nella proposta, nelle attività e nella sua veste architettonica (di Renzo Piano).
Rimane un vuoto, nel panorama nazionale, in particolare nelle grandi città. Il confronto internazionale risulta impietoso, non soltanto rispetto a eccellenze come lo Science Museum di Londra o la Cité des sciences et de l’industrie di Parigi, ma anche ai tanti, attivissimi e innovativi musei tedeschi, francesi, scandinavi, americani...
È un caso che i 44 musei statali dotati di autonomia speciale istituiti dalla riforma Franceschini siano, nella loro totalità, dedicati all’arte e all’archeologia e nessuno alla scienza e alla tecnologia? [Alessandro Martini]
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