Tim Schneider
Leggi i suoi articoliQuando ci sono i fuochi d’artificio, ci vuole un po’ di tempo perché il fumo si diradi. Nonostante le roboanti transazioni del primo giorno, i commenti di numerosi venditori, acquirenti e consulenti presenti ad Art Basel confermano dinamiche di mercato estremamente complesse: su un punto sono tutti d’accordo, chiunque delinei un’analisi semplice sullo stato del mercato in questo momento sbaglia «Quello che sta accadendo nel mercato dell’arte è difficile da descrivere e ancora più difficile da decifrare. Dal mercato dell’arte a quello azionario, alla situazione politica, tutto sembra dover essere un estremo o l’altro: il mondo ha dimenticato la parola “sfumatura”», afferma Dominique Lévy, cofondatore di Lévy Gorvy Dayan.
È ovvio per tutti che il mercato non sia un monolite, eppure l’impulso ad accettare una narrazione catastrofica durante la correzione del mercato in corso suggerisce che conoscere questo mantra e applicarlo sono due cose diverse, come lo sarà quando arriveranno le prime prove di ripresa. I titoli dei giornali sulla prima giornata di Art Basel (anche i nostri) sono stati dominati da notizie di vendite a sette e otto cifre da parte dei rivenditori più blu delle blue-chip. Ma queste transazioni di grande valore distolgono l’attenzione dalle continue sfide che il lato vendite affronta. «Stiamo andando bene, ma non è una bella sensazione», hanno commentato alcuni dealer internazionali: un concetto confermato da un’ampia fetta di operatori del settore negli ultimi 18 mesi. Un attrito tra fatti e sensazioni in linea con quello creatosi sull’economia in generale dalla fine della pandemia Covid, per esempio negli Stati Uniti, dove diversi indicatori positivi basati sui dati (aumento dei redditi reali, disoccupazione relativamente bassa, riduzione delle disuguaglianze, inflazione attenuata ecc) non hanno arginato la sensazione di negatività sullo stato del lavoro e della vita. Generalmente gli individui ammettono di trovare il modo di cavarsela, ma tendendo a credere che gli altri stiano lottando di più e che ci sia poco sollievo in vista. Molti professionisti del settore artistico stanno vivendo un’esperienza simile.
Parte di questa sensazione diffusa deriva dal cambiamento di sforzo necessario per continuare a vendere arte nelle condizioni recenti, non solo questa settimana, ma per gran parte degli ultimi due anni. «Il senso di urgenza che ha caratterizzato il mercato dell’arte per tanto tempo sta cambiando: tutti lavorano con il doppio della fatica», afferma Steve Henry, senior partner della Paula Cooper Gallery. Lo stesso vale in generale per il mercato privato secondario. «In generale questa edizione di Art Basel non sembra molto diversa dalle ultime tre (quelle post Covid). Non amo l’espressione “correzione del mercato”, ma è più o meno la situazione in cui ci troviamo. Ci sono ancora vendite private significative e ci sono ancora un po’ di grandi transazioni, ma si tratta sempre di opere che la gente sta cercando, che hanno un buon prezzo e che sono accessibili», afferma il consulente londinese Morgan Long. Tale situazione risulta ancora più evidente facendo un confronto con i facili profitti raccolti dai mercanti e dalle case d’asta che hanno gestito le opere dei giovani artisti più richiesti durante il boom post-Covid. Sebbene questo sottoinsieme del commercio abbia ricevuto un’attenzione spropositata, ha costituito solo una piccola parte del gruppo molto più ampio di gallerie che vendono le opere di artisti emergenti e di media carriera. I galleristi presenti ad Art Basel concordano su due punti: primo, gli speculatori che hanno spinto gli acquisti sono ormai quasi scomparsi dal mercato; secondo, questa scomparsa non ha danneggiato in alcun modo le loro campagne di vendita di altri giovani artisti sul mercato primario. Non è mai stato il loro modello di business, quindi non aveva alcun rapporto né con il loro roster né con i loro collezionisti. È sbagliato trarre la conclusione che il commercio sia crollato per tutti gli artisti ultracontemporanei semplicemente basandosi sul crollo pubblico di alcuni giovani talenti con risultati d’asta un tempo elevati (la maggior parte con poco o nessun sostegno istituzionale durante la loro ascesa).
C’è un modo in cui il rallentamento delle vendite di molti beniamini del mercato può avere un impatto sui commercianti che non hanno mai lavorato con loro: l’effetto di trascinamento sulle liste d’attesa. Secondo alcune fonti, in alcuni casi i clienti di lunga data di gallerie di dimensioni modeste hanno iniziato a vedersi offrire opere primarie, un tempo molto richieste, da parte di gallerie più grandi che non erano state incentivate a rendere loro accessibili quelle opere uno o due anni fa. Ma poiché gli acquirenti di più alto profilo hanno riconsiderato gli impegni presi quando l’afrodisiaco della concorrenza era nel loro sangue, le gallerie rimaste in possesso dell’inventario hanno esteso le offerte a collezionisti meno ricercati, alcuni dei quali stanno capitalizzando, spendendo i loro soldi più in alto nella catena di distribuzione rispetto a quanto farebbero di solito. Questo spostamento potrebbe, in ultima analisi, danneggiare le gallerie di dimensioni modeste, che questi collezionisti hanno contribuito a sostenere, ma non è ancora chiaro se la portata del trasferimento di spesa sarà abbastanza grande da avere importanza. Pensare che tutti gli artisti di una certa fascia d’età o di un certo livello di esperienza siano uguali sarebbe fuorviante, come lo sarebbe pensare che tutti gli acquirenti siano uguali riguardo le loro priorità di decisione di cosa (o se) acquistare. Lévy avverte che non esiste un mercato semplice. «Sono in questo settore da oltre 30 anni e non credo che due transazioni siano uguali, non credo che due collezionisti siano uguali, non credo che due collezioni siano uguali e va da sé che non esistono due artisti uguali».
La diversità di prospettive all’interno del collezionismo contemporaneo rende difficile il compito di trarre dall’attività di vendita delle principali fiere le conclusioni generali che gli osservatori tendono a desiderare. Per esempio, gli acquirenti più attenti agli investimenti considerano oggi un numero maggiore di fattori economici rispetto al passato: dai tassi di interesse regionali alla forza della valuta nazionale rispetto a quella in cui è denominato il prezzo di acquisto di un’opera, al confronto dei prezzi storici, alla relativa liquidità di un’opera attraverso la rivendita o il finanziamento dell’arte, nel caso in cui si volesse fare una rapida uscita in un secondo momento. Ma questo è ancora solo un segmento della popolazione collezionistica, che spesso orienta i propri acquisti verso una particolare fascia di mercanti ben preparati a vedere il commercio attraverso una lente che ottimizza gli investimenti. Altri gruppi di collezionisti, orientati verso altre priorità sono meno sensibili, ad esempio, a qualsiasi aumento incrementale del loro potere d’acquisto che potrebbe derivare da un taglio dei tassi d’interesse da parte della banca centrale della loro regione. «Non è una considerazione universale, le gallerie di “marca” hanno clienti più orientati al marchio. Le nostre considerazioni potrebbero non corrispondere alle loro», spiega Henry. Ciononostante dal mercato primario a quello secondario, dai mercanti ai consulenti ai collezionisti, tutti concordano che il ritmo più lento delle contrattazioni ha il vantaggio di un impegno più profondo, di conversazioni più ponderate e quindi di legami più forti tra mercanti, artisti, collezionisti e curatori istituzionali. Questo significa che lo sforzo supplementare di questa settimana potrebbe far sì che gli scambi tornino presto a essere stratosferici? «Quello che la gente dimentica del mercato è che è ciclico. La maggior parte del tempo è difficile. È insolito quando è facile», conclude Henry.
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