Il senso dell’Origine, che è nel timbro del nero, e le variazioni liriche che al tema dedicò Emilio Villa sulle pagine di Arti visive, sono stati tra i motivi fondamentali del sodalizio artistico che unì per molti anni Alberto Burri ed Edgardo Mannucci. L’amicizia, che invece si alimentava con cenacoli gastronomici e con il culto della civiltà rurale umbro-marchigiana, era nata ancor prima del 1951-‘58, gli anni del gruppo e della FondazioneOrigine, poi della rivista Arti visive. Lo attesta la narrativa familiare, ricordata dalla nipote Barbara, alla quale Edgardo Mannucci raccontava di quando era andato personalmente al porto di Napoli per accogliere e accompagnare Alberto Burri, rimpatriato dagli Stati Uniti insieme a centinaia di ufficiali e soldati italiani il 27 febbraio del 1946, dopo un anno e mezzo di prigionia al campo texano di Hereford.
Insieme per molti mesi nello stesso studio-laboratorio romano interamente dipinto di nero, prima a via Mario de’ Fiori, poi a via Margutta, Mannucci e Burri mettevano a confronto il nero come attesa del cosmo prima della sua esistenza, il nero come tinta del mondo, laddove il fuoco della guerra o della devastazione lo ha lambito e distrutto, la «pioggia nera», che nel romanzo di Ibuse Masuji, cade dopo la vampa immane apparsa nel cielo di Hiroshima. Su questi neri, che siano i «Catrami» e le «Muffe» di Burri, o i «Rilievi» e le «Piastre» di Mannucci, de-solate dalla patina scura degli acidi, si deposita un alfabeto di segni incerti e frammentari con i quali la materia sembra mostrare un suo intimo e dialettico predisporsi/negarsi alla forma, come pure un connaturarsi al primordio, ad un primo ordine dell’agire umano. Di questa scrittura primordiale, in mostra alla Galleria Spazia («Burri e Mannucci, una storia anni Cinquanta», sino al 30 novembre) è esposto un pannello dipinto a quattro mani da Burri e Mannucci, sorta di divertissement realizzato per chiudere un camino della sua casa di Arcevia, dove spesso ospitava l’amico.
Riferendosi alla ricerca astratta di Mannucci, certo molto sensibile ai suoi richiami alla rifondazione del primitivo nel contemporaneo, parallela e controversa ad una ritrovata familiarità tra scienza e arte, Emilio Villa scrisse nel catalogo della Biennale di Venezia del 1956, «Il sodalizio con il pittore Burri (altra mozione dell’Italia centrale) e le loro reciproche influenze, quasi un pensare insieme, lo sollecitavano alla chiarificazione di una tematica originaria. Nacque così in scultura l’elegia: celebrazione degli orizzonti funebri e del compianto profondissimo, che significa presa di possesso e accadimento della profonda vita».
E infatti, vitalissima è l’esperienza percettiva delle opere di Edgardo Mannucci, che articolò la sua ricerca espressiva in una sintesi sempre più potente tra la materia fusa dalla fiamma ossidrica e il suo potenziale energetico-cinetico, sprigionato da nastri spiraliformi e da esili filamenti metallici, che vibrano nello spazio congiunti alle onde sonore del loro animarsi. E tutto ciò per suggellare un altro profondo legame artistico, quello con Giacomo Balla, che Mannucci manterrà sempre vivo e attuale nella sua opera. Fu proprio Mannucci, insieme ad Ettore Colla e Piero Dorazio, il principale ispiratore e attivo organizzatore della mostra dedicata al maestro del Futurismo promossa dalla Fondazione Origine, in omaggio al capostipite della ramificata via italiana all’astrattismo. Lo testimonia Piero Dorazio, che ha scritto, «Tramite Edgardo Mannucci, uno dei primi soci della “Fondazione Origine”, conobbi Balla, che in quegli anni tutti pensavano fosse morto. Mannucci un giorno mi portò a Castel Sant’Angelo, era febbraio, e lì seduto su una panchina che prendeva il sole, trovammo Balla. Ci invitò subito a casa sua e ci mostrò un palchettone sopra la cucina dove aveva praticamente nascosto tutti i suoi quadri futuristi. Con Mannucci tirammo giù tutti questi dipinti, li srotolammo, applicammo le tele sui telai e restaurammo i disegni». Anche il transfuga Mario Ballocco, appena uscito dal Gruppo Origine, in un’intervista a Lucia Masina pubblicata su A-Z, ricorda che Colla e Mannucci lo raggiunsero a Milano per prendere accordi con la Galleria Bompiani, dove la mostra avrebbe dovuto essere esposta e che invece fu poi allestita a Roma, inaugurata il 14 aprile 1951 alla galleria Origine, in pratica una sala dell’abitazione di Ettore Colla. L’anno successivo e nello stesso spazio espositivo, sia Burri che Mannucci parteciperanno alla collettiva «Omaggio a Leonardo da Vinci. Segni intorno alla natura umana».