Si intitola semplicemente «Spazio Antonioni» e proprio questo vuole essere: un luogo fisico e mentale in cui incontrare la figura di Michelangelo Antonioni (Ferrara, 1912-Roma, 2007), in un ambiente narrativo che spinge a inoltrarsi nella sua storia attraverso un vastissimo repertorio di oggetti, opere e memorie. Ed è significativo che l’intitolazione della nuova istituzione ricordi il tema dello «spazio», anche perché, come ha affermato il regista Wim Wenders, membro del comitato d’onore del museo, «Antonioni è stato un maestro, un generatore di spazio e tempo».
Aperto al pubblico dal primo giugno, nato dalla spinta propulsiva di Vittorio Sgarbi, presidente della Fondazione Ferrara Arte, in sinergia con la moglie del regista Enrica Fico Antonioni e con il Servizio Musei d’Arte del Comune, questo nuovo museo, che la città ha voluto dedicare a uno dei suoi più illustri rappresentanti nel mondo, era atteso da tempo, nonostante la scelta della sede (tradizionalmente l’unica a Ferrara dedicata a esposizioni temporanee di arte contemporanea) abbia suscitato perplessità, non ancora del tutto sopite, sull’opportunità di questa destinazione permanente.
Il progetto architettonico, firmato dallo studio internazionale Alvisi Kirimoto, ridisegna completamente i due piani dell’ormai ex Padiglione d’Arte contemporanea di Palazzo Massari, attraverso una successione di pareti libere concepite come grandi teche illuminate che invitano a una lettura cronologica sequenziale, impaginando l’universo creativo del celebre cineasta con l’individuazione di numerosi nuclei tematici. L’idea è nata per raccontare la forza innovativa e preveggente della sua poetica utilizzando una parte del Fondo Antonioni, che nella sua totalità è composto da 47mila oggetti, recentemente valorizzati e catalogati grazie a un progetto sostenuto dalla Regione Emilia-Romagna.
Il percorso espositivo, curato da Dominique Païni (già direttore della Cinémathèque Française dal 1993 al 2000), si sviluppa ripercorrendo le stagioni del cinema e della produzione artistica di Antonioni lungo tutto il secondo Novecento: dagli esordi neorealisti alla «trilogia dell’incomunicabilità» (con i film «L’avventura», «L’eclisse» e «La notte», tutti tra 1960 e 1962), dalle varie esperienze internazionali culminate nella visione critica di «Blow Up» (1966), fino al ritorno in Italia. Sulle pareti si susseguono così figure iconiche delle sue pellicole (da Monica Vitti a Lucia Bosè), sequenze filmiche, articoli, ritagli, progetti, dischi, scritti, sceneggiature, epistolari e oggetti emblematici, dalla cinepresa alla statuetta del premio Oscar alla carriera del 1995. Per arrivare, infine, alla poetica sezione dedicata al tema delle «Montagne incantate» che rivela la particolare sensibilità visionaria della sua ricerca pittorica, un aspetto meno noto ma non meno rappresentativo di una produzione espressiva che è stata di grande ispirazione per ogni ambito delle arti visive, e che senza dubbio continua a esserlo.
«L’eccezionalità di questo luogo, il primo vero museo dedicato a un regista in Italia, ha sottolineato Païni, sta proprio nella forza rappresentativa dell’immenso archivio raccolto dallo stesso Antonioni, dove possiamo trovare insieme oggetti popolari come cartoline di viaggio e appunti di grande profondità, o scambi epistolari con filosofi e scrittori, che ne rivelano pienamente lo statuto di raffinato intellettuale come regista e artista. La sua visione del mondo è stata originale e preveggente, perciò entrando qui il pubblico incontra temi, immagini, pensieri che risalgono al dopoguerra o agli anni Sessanta e Settanta, ma in realtà tutto sembra parlarci del nostro presente».
Proprio per restituire la complessità e l’attualità di questa eredità concettuale, all’interno del museo è stato ricavato uno spazio polivalente da dedicare a rassegne, incontri e esposizioni tematiche per esplorare connessioni tra Antonioni e altri universi creativi. La prima mostra si intitola «Fuori fuoco» (a cura di Andrea Bruciati e organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte in collaborazione con Istituto Villa Adriana e Villa d’Este–Villæ) e intende cercare un confronto inedito con la pittura di paesaggio di Giorgio Morandi (Bologna, 1890-1964) e gli scatti naturalistici di Cy Twombly (Lexington, 1928-Roma, 2011).