Vittorio Coscia
Leggi i suoi articoliNel gennaio dell’anno in corso acquistavo in un’asta negli Stati Uniti tre acquerelli di scuola italiana del XVIII secolo a soggetto botanico, con illustre provenienza dichiarata nella descrizione del catalogo d’asta: «Provenance: purportedly from the collection of the Vatican, then George III; Sotheby’s New York, “Property from the Estate of James R. Herbert Boone”, 16 September 1988, lot 136; purchased at this sale and by descent to the present owner».
Giunte le opere in Italia, l’intermediario per le pratiche di sdoganamento presso la dogana dell’aeroporto Marco Polo di Venezia mi richiedeva di fornire anche i costi della spedizione da aggiungere al valore della merce al fine del calcolo dell’Iva per il relativo pagamento che, in un periodo di pandemia con costi notevolmente lievitati, ritengo molto discutibile.
Quindi venivo informato che per riconoscere l’agevolazione Iva al 10% per beni d’interesse storico-artistico-culturale, oltre alla mia autocertificazione prevista a norma di legge in Italia sotto la mia responsabilità personale, la dogana pretendeva una non meglio specificata dichiarazione che comprovasse il valore artistico della merce, ad esempio emessa dalle Belle Arti (di quale Paese?), quando è notorio che non esiste nulla di simile nel Paese di provenienza, gli Stati Uniti d’America.
In particolare sappiamo che: a) le case d’asta forniscono una descrizione del lotto e non rilasciano nessuna dichiarazione circa un eventuale valore storico artistico, mentre solo i mercanti e le gallerie d’arte, in genere su richiesta, rilasciano una dichiarazione o attestato di originalità e/o provenienza. b) negli Stati Uniti non esiste neppure il concetto di bene d’interesse storico artistico culturale.
I funzionari della dogana, se incompetenti a trattare lo sdoganamento delle merci di questo genere, s’informino adeguatamente, quindi evitino di chiedere ciò che dovrebbero sapere che non esiste. Cosa ancor più grave, mi è stato richiesto di modificare la mia autocertificazione dichiarando (io!) che gli acquerelli non hanno valore storico artistico.
Come fanno a non averne delle opere originali del XVIII secolo d’illustre provenienza (anche a fronte di un relativamente modesto valore d’acquisto)? Cos’altro può avere valore storico-artistico-culturale se non oggetti di questo genere? Il caso secondo me è paradossale. Non ho avuto altra scelta che sdoganare sborsando il 22% di Iva, rinnegando assurdamente il valore storico artistico delle opere e, voglio aggiungere, nonostante la rarità del soggetto botanico scientifico che qualsiasi esperto riconoscerebbe senza esitazione.
Ho chiesto più volte all’intermediario di avere il nominativo del funzionario responsabile della pratica al fine di poterlo contattate o, in ultima istanza, contro cui valutare la tutela dei miei diritti nelle sedi opportune, tenuto conto delle arbitrarie violazioni di legge perpetrate, che comportano tra l’altro nei miei confronti un ingiusto danno economico a fronte di una specifica normativa che tende ad agevolare il rientro in Italia di opere che hanno una rilevanza per il nostro patrimonio culturale.
Tale nominativo non mi è stato mai rivelato né risulta dalla documentazione accompagnatoria della merce sdoganata e consegnata. Ho quindi scritto alla direzione delle entrate di Venezia per denunciare quello che considero vessatorio e ingiusto nei confronti del cittadino. La risposta che ho ricevuto, devo dire almeno con notevole sollecitudine, era che rimettevano la mia segnalazione alla dogana di Venezia perché la direzione delle entrate non aveva gli elementi per determinare la questione, quando bastava solo del buon senso per capire che acquerelli del XVIII secolo con provenienza importante non possono non avere interesse artistico-culturale ecc.
Non c’è bisogno di farselo dire da alcun esperto o supposto tale, è lapalissiano, basta usare l’intelligenza e il buon senso, nulla di più. Dopo qualche settimana mi ha scritto la dogana dell’aeroporto di Venezia informandomi che ho tre anni per presentare una richiesta di riesame, ma mi negava il nome del funzionario che ha gestito la pratica, trincerandosi dietro la pietosa scusa che avevo interagito solo con il (aggiungo io povero) intermediario.
Inutile dire che i costi per presentare la pratica di riesame con uno specialista sono più elevati della differenza fra il 10 e il 22% di Iva che ho dovuto indebitamente sborsare. Il rammarico è che ci saranno patacche d’importazione vendute da galleristi esteri con un’altisonante dichiarazione allegata che riescono a ottenere l’agevolazione, mentre opere d’interesse artistico non la ottengono perché degli incompetenti non sanno distinguere un’opera d’arte da una carta di caramella.
Oltre all’ignoranza, che invece abbonda, nel caso in oggetto è mancato anche del tutto il buon senso. Rilevo amaramente che troppo spesso nel nostro bel Paese i funzionari dello Stato dimenticano di essere servitori di quest’ultimo e credono di poter usare il potere delle istituzioni a loro uso e consumo per esercitare il loro potere.