Dal 19 settembre al 9 febbraio, il Museo Casa di Goethe ospita la mostra «Max Liebermann. Un impressionista di Berlino». Nella sua Berlino, Liebermann (1847-1937) fu effettivamente un caposaldo del Tardoimpressionismo europeo, con dipinti realizzati a tocchi rapidi e luminosi, aventi a soggetto il lavoro nei campi, bagnanti sulla costa olandese, giardini fioriti o svaghi equestri della ricca borghesia. Ma anche angoli italiani. Ispirato, come tanti connazionali, a partire da Winckelmann, dall’Italiensehnsucht (la nostalgia dell’Italia), Liebermann varcò le Alpi sei volte nella sua vita. Una di queste, da Firenze, scrisse su di una cartolina «Anch’io in Italien», citando la frase che Goethe mise in epigrafe al suo Viaggio in Italia, ovvero «Anch’io in Arcadia», a sua volta menzione del dipinto «Et in Arcadia ego» (1618-22) del Guercino.
I dipinti, i disegni e le stampe in mostra, provenienti per lo più dalla Max-Liebermann-Gesellschaft di Berlino, offrono una panoramica dell’intero mondo figurativo dell’artista, notissimo ai suoi tempi in Italia. Fu infatti tra i protagonisti della prima edizione della Biennale di Venezia, nel 1895, tornando a esporre in Laguna numerose volte, fino all’edizione della Biennale del 1922, con 23 opere. Nel 1924 la Galleria Pesaro di Milano ospitò una sua personale di 59 opere. Venezia è il soggetto di molti disegni e studi, non presenti però in mostra, come pure Firenze, Roma, Napoli, Milano. A Roma venne due volte, ammirando il «Ritratto di Innocenzo X» di Velázquez alla Galleria Doria Pamphilj, la Cappella Sistina, la Basilica di San Pietro e la veduta di Roma dall’altura del Pincio. Ma, con la moglie, si spostò pure nei dintorni, come dimostra la chiara citazione, nel suo affresco realizzato nella villa privata sulle sponde del Wannsee (grande lago presso Berlino), della mirabile camera picta della Villa di Livia a Prima Porta, con alberi frondosi, frutti, fiori e uccelli, capolavoro ambientale dell’antichità, rinvenuto nel 1863, e trasferito solo nel 1952 presso il Museo nazionale romano di Palazzo Massimo. Nel 1911, numerose sue opere vennero esposte a Roma, in occasione dell’Esposizione internazionale allestita per il cinquantennale dell’unificazione d’Italia. È forse l’acme di una carriera, che terminerà però con l’ostracismo dell’ultimissima fase, quando si vede costretto a dimettersi dall’Accademia prussiana delle arti perché ebreo. L’ultimo impressionista fu infatti anche uno dei primi artisti a essere bandito dal regime nazista.