Fotografia di Emilio Prini vestito da clown alla finestra del suo studio, Genova, 1968

Cortesia Archivio Emilio Prini

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Fotografia di Emilio Prini vestito da clown alla finestra del suo studio, Genova, 1968

Cortesia Archivio Emilio Prini

L’enigmatico Emilio Prini, che rifuggiva il sistema dell’arte

Nella Fondazione Antonio Dalle Nogare esposto un corpus inedito, circa duecento fogli A4 realizzati nella prima metà degli anni Settanta 

Enigmatico e schivo, volutamente lontano dal sistema dell’arte a partire dal 1975, rifuggiva sia cataloghi sia mostre: a Emilio Prini (1941-2016) la Fondazione Antonio Dalle Nogare dedica dal 29 settembre al 3 maggio 2025 la mostra «Typewriter Drawings. Bologna/München/Roma-1970/1971». Il team curatoriale è composto da Andrea Viliani, responsabile del programma espositivo della fondazione, Luca Lo Pinto, che ha curato al Macro di Roma nell’ottobre scorso la prima grande personale di Prini (cfr. l’articolo su ilgiornaledellarte.com), e Timotea Prini, figlia dell’artista e responsabile dell’Archivio Prini in collaborazione con il quale la mostra è realizzata. 

«Ho inserito la mostra nel programma coeso della fondazione, dopo le mostre di Andrea Fraser, analitica sui rapporti tra arte e istituzioni, di David Lamelas, sullo spazio tempo del sistema dell’arte, e “Ri-Materializzazione del linguaggio”, sulla differenza tra opera e documento. Lo statuto delle opere polisemiche di Prini è complesso: come interpretare e distinguere opere, appunti di lavoro e materiale preparatorio, documentazione?», spiega Viliani. La scelta è caduta su un corpus inedito, circa duecento fogli A4 realizzati nella prima metà degli anni Settanta, fornendo l’occasione all’Archivio Prini per avviare un progetto di studio a cura di Timotea Prini. «La riflessione a tre è servita a collocare all’interno della sua pratica generale queste opere in cui ha utilizzato la Olivetti Lettera 22 come fosse una matita con cui usare il linguaggio su diversi registri… calcolare, progettare, verificare idee», prosegue Viliani. «Abbiamo selezionato una serie di disegni legati a tre mostre storiche a cui prese parte tra il 1970 e il 1971: “Gennaio ’70 - comportamenti, progetti, mediazioni” curata da Barilli al Museo Civico Archeologico di Bologna, “Arte Povera - 13 Italian Artists” al Kunstverein di Monaco, l’ultima del gruppo in cui era stato inserito fin dagli esordi nel ’67 alla galleria La Bertesca di Genova, e “Merce Tipo Standard” all’Attico di Roma, aggiunge Luca Lo Pinto. Il suo è un approccio non convenzionale, con un processo continuo di riscrittura delle stesse opere: qui uno zoom su un corpus specifico in cui ha usato la macchina da scrivere come fosse un pennello, o per tracciare architetture piatte, per scrivere note o comporre filastrocche. Sono lavori in cui tocca tante tematiche, rispondendo a un insieme di riflessioni sull’idea dell’opera come merce attraverso l’uso dei dispositivi tecnologici, la macchina da scrivere o fotografica, il registratore o il televisore: l’oggetto prodotto in serie usato dall’artista diventa unico, implicando un discorso sul valore economico e simbolico dell’opera».

Senza titolo, senza data, di Emilio Prini. Cortesia dell’Archivio Emilio Prini

Camilla Bertoni, 27 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

L’enigmatico Emilio Prini, che rifuggiva il sistema dell’arte | Camilla Bertoni

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