Nella mostra «La scia del monte ou les utopistes magnétiques», aperta fino al 15 settembre, il Musée des Beaux-Arts di Le Locle celebra il concetto di utopia attraverso l’eredità del Monte Verità. Quest’oasi dall’energia magnetica sul Monte Monescia, in Ticino, è nota per aver dato vita a inizio ’900 alla prima colonia alternativa, naturista, femminista e vegetariana, ospitando nel corso degli anni una serie di anarchici, pensatori, artisti e intellettuali che auspicavano una «riforma della vita». Realizzata in collaborazione con la Fondazione Monte Verità e curata da Federica Chiocchetti, direttrice del Museo, e Nicoletta Mongini, la mostra ha invitato 26 artisti contemporanei il cui lavoro in qualche modo risuona con il genio del luogo e delle sue figure femminili, proponendo un dialogo dinamico tra natura, arte e spirito.
Le opere esposte cercano di rispondere alla domanda: che cosa resta di quegli ideali utopici coltivati sulla collina sopra Ascona? E che cosa vuol dire parlare di utopia, oggi? Tra gli artisti, c’è Una Szeemann, figlia dell’artista Ingeborg Lüscher (anche lei in mostra) e del curatore Harald Szeemann, che proprio con la sua mostra visionaria «Monte Verità. Le mammelle della verità» (1978), consacrò il ruolo di questo luogo spirituale. L’abbiamo intervistata.
In mostra c’è uno dei suoi primi lavori sul Monte Verità, il video «Montewood Hollyverità». Ci può dire di più?
Sono cresciuta sul Monte Verità e ciò ha alimentato il mio interesse per questa realtà sin dall’inizio della mia carriera. Quando avevo 27 anni, ho realizzato questo video per raccontare la storia della colonia: ho ripreso alcuni dei suoi personaggi chiave e li ho posizionati nell’estetica cinematografica di Hollywood, mescolando una narrazione classica, illustrata da fotografie d’archivio, con sequenze di fiction interpretate da attori speciali, star del mondo dell’arte (e non solo), come Jason Rhoades, Paul McCarthy e Lawrence Weiner. Mi incuriosiva la connessione tra cinema e Monte Verità, perché anche il cinema è un’utopia, un momento in cui tutto è possibile.
Per «La scia del monte» ha realizzato nuove opere. Su che cosa si è concentrata?
Ho voluto dedicare questi nuovi lavori all’origine del Monte Verità, che prima della colonia si chiamava Monte Monescia, ispirata dal fatto che le curatrici Federica Chiocchetti e Nicoletta Mongini abbiano ripreso nel titolo della mostra, foneticamente, il nome originario della collina sopra Ascona. Mi interessava assumere una prospettiva femminile riprendendo i miti presenti nel Monte Monescia, che comprendevano i rituali delle streghe e l’utilizzo di piante medicinali. La natura spirituale ed esoterica è sempre stata presente in quest’area geografica.
Una veloce panoramica di questi lavori?
La scultura «She Who Wanders at Night» è ispirata a Ecate, dea greca della magia, della notte, della stregoneria e della negromanzia, e allo spirito della danzatrice Charlotte Bara, che nel suo Teatro San Materno ha creato coreografie basate su danze sacre e mitiche di varie culture. Tre pesanti figure di cuoio, a metà tra grotta e corpo cavo, sono sospese al centro della sala dedicata ai miei lavori. Inoltre, ho realizzato la serie di sculture «Incantarsi», le quali affrontano il tema delle piante medicinali presenti sul Monte Monescia, originariamente utilizzate durante riti e cerimonie dalle streghe. Questo lavoro si collega tematicamente anche a un gruppo di sculture che ho realizzato in passato con fiori di banano essiccati, «The Birds Said You Move». Entrambe le serie riflettono sull’importanza della natura e della magia.
Qual è stato il ruolo della donna nel Monte Verità e di conseguenza come approfondisce, da artista, la tematica femminile nella sua ricerca?
Il ruolo della donna è sempre stato essenziale, anche prima dell’insediamento della colonia. Sul Monte Monescia si voleva creare un centro teosofico con la fondatrice Helena Blavatsky. Inoltre, si potrebbe dire che il concetto di femminismo è nelle stessa fondamenta del Monte Verità, grazie alla figura di Ida Hofmann, che ha fondato l’insediamento insieme al marito Henri Oedenkoven. Con il mio lavoro voglio evidenziare come le donne siano sempre state molto presenti in questa realtà, contribuendo a riscrivere una storia dell’arte attraverso la prospettiva femminile. Hilma af Klint si può considerare una sorta di protoartista per questa nuova definizione della storia dell’arte, sviluppando un modo di fare arte più spirituale e complesso che superava il semplice formalismo.
Che cosa ha significato per lei vivere il Monte Verità in giovane età? E quanto hanno influito le ricerche dei suoi genitori sul suo percorso artistico?
Vivere questa esperienza da piccola mi ha sicuramente sensibilizzata alle tematiche che affrontavano i miei genitori nel loro lavoro. Li ricordo installare la mostra «Monte Verità. Le mammelle della verità» giorno e notte sulla collina di Ascona. Il giardino del Monte Verità era il mio parco personale! Ovviamente da bambina non potevo capire l’importanza intellettuale di quel luogo, ma sentivo comunque un’energia fortissima. Da quando ho avuto la capacità di comprendere la sua storia, ho voluto approfondirla sviluppando un percorso di ricerca personale. Sono molto grata della vita che ho ricevuto grazie ai miei genitori. Ho imparato moltissimo grazie alle loro curiosità, alle loro ossessioni positive, e all’amore incondizionato nel trovare un’alternativa alla vita convenzionale.
Che cosa può insegnarci, oggi, l’esperienza del Monte Verità?
All’epoca della sua creazione, a inizio ’900, di fronte al clima politico del momento c’era un grande bisogno, per i fondatori e gli abitanti della colonia, di individuare forme alternative di vita. Il Ticino era visto come una porta verso il Mediterraneo, dove la situazione politica era sicuramente migliore. Bakunin abitava in Ticino proprio perché lì l’anarchismo era possibile ed è interessante che la mostra sia a Le Locle, cittadina dove Bakunin visse e luogo significativo per la nascita del movimento anarchico. Penso che, nell’attuale momento geopolitico distopico, ci sia lo stesso bisogno di trovare nuove forme di coabitazione, di riflettere sul clima che stiamo distruggendo e sull’ecologia. Sono questioni molto contemporanee che, in maniera visionaria, avevano già tematizzato i fondatori del Monte Verità più di un secolo fa.