Giorgio Bonsanti
Leggi i suoi articoliAlla National Gallery di Londra è tornata in esposizione la «Natività» di Piero della Francesca dopo un restauro durato 15 mesi che ha suscitato polemiche: Jonathan Jones, critico del quotidiano britannico «The Guardian», ha pubblicato una stroncatura in cui afferma che i ritocchi al capolavoro del 1475 sono «goffi, pacchiani e rozzi…Che cosa mai ha indotto i restauratori a dipingere sul volto mancante dei pastori due facce completamente nuove con espressioni da idioti o a mettere una grossa macchia bianca sulla parete della stalla?»
In attesa di una pubblicazione scientifica, le immagini disponibili in rete sui siti ufficiali della Galleria provocano effettivamente profondo sconcerto (si veda in particolare questo video). Il dipinto come lo conoscevamo da prima dell’intervento presentava un danno vistoso ai volti dei due personaggi maschili in piedi a destra: a differenza da quanto si è letto, nessuno avrebbe potuto ragionevolmente pensare che fossero figure non finite, era del tutto ovvio che si trattava di un danno dovuto a una pulitura scriteriata («orribilmente abrasi da una pulitura eccessiva» li ha definiti la restauratrice Jill Dunkerton), pulitura già compiuta, a quanto pare, quando nel 1874 il dipinto entrò nelle collezioni della Galleria.
L’intervento recente ha rimosso le vernici, ha risanato il supporto inserendo un listello ligneo, che ristabilisse la corretta distanza fra le due parti della tavola separate da una spaccatura verticale, e ha eseguito estesamente il ritocco pittorico sulle lacune, come le due bruciature da candela una delle quali coinvolge la figura del Bambino e parti marginali adiacenti i bordi, e sulle abrasioni, come i volti dei due personaggi citati sopra. Ed è questo in particolare l’argomento della mia considerazione.
È noto che sostanziali differenze hanno distinto il restauro di tradizione italiana e quello anglosassone; le varie occasioni di confronto hanno riguardato principalmente le puliture, che nella National Gallery di Londra, seguendo gli indirizzi dati dal restauratore Helmut Ruhemann, hanno inteso rimuovere dalle superfici policrome ogni materiale considerato non originale, mentre la tradizione italiana riconosce dignità a fenomeni di varia natura ritenuti far parte della storia dell’oggetto.
Quanto al restauro pittorico, la cui legittimità è ammessa ai fini della leggibilità dell’opera, l’indirizzo seguito in Italia si propone di mantenere riconoscibile l’intervento moderno, ed è un principio che scaturisce da elaborazioni teorico-metodologiche sviluppate nei secoli, anche se da storico prendo atto che sull’argomento si registra negli ultimi tempi qualche segno di insofferenza e si ripropongono estese ridipinture condotte a imitazione. Rimane in ogni caso valido il principio brandiano secondo cui l’intervento moderno si situa nel tempo attuale, che non è né quello della creazione, che pertiene al solo artista, né il periodo intercorso fra l’origine e il momento dell’oggi in cui si registra il passaggio del tempo, che non è reversibile. Da un punto di vista storico, si ratifica così definitivamente la distinzione fra artista e restauratore.
Ora, accade che la scelta della National Gallery sia stata di intervenire allo stesso modo non solo sulle lacune ma anche sulle abrasioni. È così che i volti dei due personaggi sono stati inventati, perché oltretutto non esisteva alcun documento che ce li testimoniasse prima della loro rovina; e questo è già un grave errore concettuale. Come accettare di sostituirsi a Piero della Francesca nell’immaginare e realizzare i visi «come li avrebbe dipinti lui»? E in secondo luogo, la ridipintura, che si proponeva di respingerli verso il fondo del quadro, è approdata al risultato esattamente opposto, in quanto li proietta violentemente in primo piano. È stata trovata per i due volti una tonalità fra l’arancio e il marrone che contrasta visibilmente con quelle leggere e trasparenti del resto del quadro, secondo lo stile ben conosciuto di Piero.
Mi permetto quindi, non certo di dare un consiglio non richiesto al direttore Gabriele Finaldi (nato a Londra da padre italiano), ma di avanzare comunque la mia convinzione perché Piero della Francesca è patrimonio di tutti (e dopo tutto, sono stato partecipe a vario titolo dei restauri della Leggenda della Croce di Arezzo, del Polittico della Misericordia e della Resurrezione di Sansepolcro). A mio parere è necessario esaminare questa criticità senza pregiudizi e a mente fredda; sono infatti convinto che le polemiche sono destinate non a sopirsi bensì a rimanere e a crescere negli anni futuri, perché il problema esiste, e rimarrà evidente ai milioni di visitatori della National Gallery.
E allora la proposta è di smontare il ritocco (facilmente reversibile) e ristudiare l’argomento dall’inizio, preferibilmente con una piccola commissione di esperti che comprenda anche storici dell’arte di altri Paesi. E convincersi che è impossibile attribuire nuovi volti ai due personaggi, e che, per diminuire l’impatto visivo del danno (che in ogni caso sarà impossibile cancellare interamente), l’unica via è quella di realizzare leggere velature che alludano senza coprire. È anche possibile sperimentare delle simulazioni digitali che indirizzino poi la scelta tecnico-metodologica. Comunque sia, la «Natività» di Piero così com’è non può rimanere.
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