Fermo immagine dal video «Photomaton» di Christian Marclay (particolare)

© Collection Photo Elysée

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Fermo immagine dal video «Photomaton» di Christian Marclay (particolare)

© Collection Photo Elysée

Le «fototessere» di Christian Marclay

Al Photo Elysée di Losanna l'artista, in collaborazione con gli studenti dell’Ecal, ha attinto all’enorme patrimonio di autoritratti prodotti dalla cabina automatica installata nel museo

La mostra «Photomaton», che l’artista Christian Marclay, in dialogo con gli studenti del corso di fotografia dell’Ecal (Università di Arte e Design) di Losanna, ha prodotto per Photo Elysée, in mostra fino al 2 giugno, affronta la contemporaneità, racconta il modo in cui un artista riesce a fare sua un’opera già preesistente, ma anche delle fondamenta del linguaggio fotografico e di quella sua particolare proprietà, la riproducibilità tecnica, da tempo teorizzata e concettualizzata.

Da qualche anno, infatti, il Photo Elysée, dotandosi di una cabina fotografica automatica, ha invitato il suo pubblico a utilizzarla, producendo un proprio autoscatto che sarebbe, poi, confluito in una collezione che ad oggi conta più di duemila autoritratti. Christian Marclay, in occasione di «Photomaton», si è immerso in questo enorme patrimonio identitario, un calderone visivo di volti e di riflessioni sul modo, detta alla Berger, di guardare e guardarsi. Nel percorso dell’esposizione non si contano le citazioni e i rimandi a un certo insegnamento sull’immagine e sul pensiero fotografico, sul concetto di opera d’arte intesa come azione collettiva, di cui la paternità si perde in una zona d’ombra tra l’artista e il suo pubblico, oltre che sul senso concettuale dell’immagine che trova le sue origini partendo dall’elemento tecnico, come nel caso, per l’appunto, della cabina per le fototessere. Basti pensare al nostro Franco Vaccari, che sul pensiero visivo per immagini ha insegnato molto. Risale, infatti, al 1972 la sua illuminante installazione, in occasione della XXXVI Biennale di Venezia, «Esposizione in tempo reale n. 4: Lascia su queste parete una traccia fotografica del tuo passaggio», in cui l’artista, grazie all’uso di una cabina Photomatic presente nella sala, invitava il suo pubblico a rendersi partecipe della sua opera, affiggendo alla parete le loro fototessere appena prodotte.

La mostra al Photo Elysée non utilizza propriamente lo stesso processo. «Photomaton» è, infatti, un’esposizione che si compone di immagini già precedentemente realizzate e il cui corpus sta andando, in progress, a definire un progetto da inserire nella collezione del museo. Inoltre, la riflessione innescata da Christian Marclay ha dei chiari riferimenti, oltre che ai principi storicizzati della fotografia, anche e soprattutto al linguaggio contemporaneo, a come il processo di appropriazione da parte di un artista possa dare seguito a nuovi scenari e a nuove narrazioni. Intervenendo direttamente sull’immagine e alterandola, Marclay, insieme agli studenti dell’Ecal, ha modificato la natura dell’opera, creata originariamente come esperienza-azione collettiva (come fu anche per Vaccari) per rimetterne in discussione l’identità e la paternità artistica, riposizionando l’asse autore-pubblico su una dimensione ambigua, talmente ambigua da essere istigatrice di ulteriori domande sull’arte e sulla sua natura.

«Puzz led» (2024) di Phin Sallin-Mason e Sarah Marachly. © Ecal Phin Sallin-Mason

Francesca Orsi, 13 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

Le «fototessere» di Christian Marclay | Francesca Orsi

Le «fototessere» di Christian Marclay | Francesca Orsi