Fernando Filipponi
Leggi i suoi articoliSi è chiusa il 29 gennaio al Louvre la mostra «Aux origines de l’image sacrée. Icônes du Musée national de Bohdan et Varvara Khanenko à Kyiv», organizzata dal museo francese con opere provenienti dal Museo Nazionale Bohdan e Varvara Chanenko di Kyiv, per la curatela scientifica di Maximilien Durand, Yulia Vaganova e Florence Calament. È il momento dei bilanci e delle riflessioni su quello che si è fatto e su quello che si farà. In un quadro politico gravemente irrisolto, in cui una prospettiva di soluzione non si profila all’orizzonte, a Olga Apenko è la riflessione sul futuro che interessa. Conservatrice del museo di Kiyv, rifugiata in Francia e accolta nelle équipe del Louvre, Apenko ha coordinato questa mostra, delicata e austera come le icone che sono state esposte per l’occasione.
Qual è la situazione oggi del patrimonio artistico in Ucraina?
Il patrimonio culturale in Ucraina è sotto attacco. I russi stanno effettuando scavi archeologici illeciti in Crimea e trasportando i reperti nei musei russi fin dall’annessione della penisola. Continuano i saccheggi organizzati in tutti i territori occupati. L’Unesco e altre organizzazioni hanno compilato elenchi di migliaia di oggetti rimossi dai musei di Kherson, Mariupol e di altre città che erano o sono ancora sotto occupazione. I bombardamenti distruggono tutti i giorni opere del patrimonio architettonico, musei, biblioteche... Vediamo continuamente scene di questo genere, ed è straziante. In questo quadro, porzioni delle collezioni museali ucraine sono andate in altri Paesi, in Francia, ma anche in Spagna, in Polonia, in Lituania. Perché vorremmo che non rimanessero rinchiusi nei depositi, ma vivessero la loro vita da museo. Possono ancora raccontare, a chi vuole ascoltarli, tante storie sull’Ucraina, sulla sua arte e storia, sulle sue collezioni e i suoi collezionisti.
Qual è lo stato del vostro museo a Kiyv?
Sopravvive all’inverno. Grazie agli aiuti internazionali e nazionali arrivati dopo i razzi esplosi nell’ottobre 2022. Allo stesso tempo, la parte dell’équipe che ha scelto di tenere al sicuro i propri figli nei Paesi europei contribuisce alla creazione della rete internazionale. Il Museo Chanenko è attualmente in tutt’Europa. È assurdo e stimolante allo stesso tempo. Ed è solo grazie al sostegno dei nostri amici che andiamo avanti. Ad esempio la chiusura della mostra di Parigi non rappresenta la fine del progetto. Inizierà ora un ciclo di analisi scientifiche che ci permetteranno di conoscere meglio i processi e i materiali utilizzati dai creatori di queste rarissime icone del VI e VII secolo d.C.
In che cosa consiste la collaborazione con il Louvre?
Si tratta di un progetto che mira allo stesso tempo alla tutela delle opere più fragili della collezione del Museo Chanenko e alla creazione di una collaborazione scientifica a lungo termine fra i due musei, per approfondire le nostre conoscenze sulle icone bizantine di età più antica.
Esistono progetti simili di collaborazione con l’Italia?
Per quanto riguarda l’arte antica non ne sono a conoscenza. Sul contemporaneo ci sono state esperienze come la mostra sulla pittrice Marija Prymačenko al Mart, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto. E l’Italia accoglie altri colleghi sfollati. Una delle collaboratrici del mio museo ha terminato la sua tesi di dottorato grazie al Kunsthistorisches Institut di Firenze. Yulia Vaganova, direttrice del museo, ha ricevuto poche settimane fa il Premio Save the Cultural Heritage a Roma. Cerchiamo di intavolare continuamente nuovi progetti internazionali e non ho dubbi che altri progetti scientifici italo-ucraini possano arrivare.
Quali collezioni in Italia sono più legate all’arte del suo Paese?
Credo non sia sbagliato affermare che il Museo Chanenko è il museo ucraino più legato all’Italia. La sua collezione è nata in questo Paese, durante i viaggi dei suoi fondatori, attraverso i loro acquisti a Roma e a Firenze.
Che cosa si può fare oggi per il patrimonio culturale ucraino ?
Dobbiamo parlare dell’Ucraina e del suo patrimonio, anche quando non lo vogliamo fare più. Dobbiamo stabilire ogni giorno nuovi contatti, nuovi dialoghi. Consolidare la rete di rapporti internazionali e un sistema di progetti condivisi. Dobbiamo restare uniti.
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