I numeri, maledetti numeri. Tutti (o quasi) dichiarano di non inseguire i record di pubblico, di non amare le classifiche, che la cultura (e il valore culturale di una mostra, un museo, un’iniziativa artistica...) non si misurano, eppure gli articoli dei giornali e i comunicati stampa degli organizzatori non perdono occasione di parlare di boom e di record superati.
Accade per le mostre temporanee, spesso iniziative che di numeri e di «evento» si nutrono: il numero è potenza, la coda è il segno evidente del successo (e facilmente comunicabile, dal vivo e sui social). Ma accade sempre più spesso anche per chi di numeri, e solo di numeri, non dovrebbe curarsi troppo (se non come segno di interesse e di partecipazione, ma sotto il profilo strettamente educativo e culturale). Pensiamo alle domeniche gratuite nei musei statali (nella foto, i Musei Reali di Torino). Iniziativa per molti versi meritoria, introdotta nel 2014 dall’allora ministro Franceschini. L’attuale ministro Gennaro Sangiuliano l’ha in parte messa in discussione, suggerendo l’ipotesi di modifiche e adeguamenti, ma poi ne ha sostanzialmente confermato la modalità di sicuro successo.
E infatti i successi si moltiplicano periodicamente, come segnalano gli entusiastici comunicati stampa ministeriali che sottolineano sempre nuovi record. Ma è davvero questo ciò a cui si dovrebbe mirare? In sintesi, la coda è davvero simbolo di successo o, almeno in alcuni casi, è il segnale di una disorganizzazione che troppo spesso si manifesta nei luoghi della cultura? Le code si potrebbero evitare, se lo si volesse (ma chi lo vuole realmente?). Le soluzioni sono ovviamente diverse a seconda dei contesti, della tipologia di pubblico, della proprietà, delle dimensioni e della notorietà del sito. E di tanto altro ancora. Ecco qualche esempio. Il caso che maggiormente ha fatto discutere è quello del Louvre di Parigi, il più visitato museo al mondo con 7.726.321 ingressi lo scorso anno secondo la Classifica annuale di «Il Giornale dell’Arte» (erano 2.825.000 nel 2021 e 9,6 milioni nel 2019 pre pandemia). È proprio grazie a questa eccezionalità (che è insieme titolo di merito ma anche problema assai complesso da gestire) che la nuova direttrice Laurence des Cars ha annunciato, a febbraio, una soluzione drastica, una «seconda rivoluzione francese» (cfr. n. 436, feb. ’23, p. 26): massimo 30mila visitatori al giorno, contro i picchi di 45mila prima della pandemia. Obiettivo: più confort per chi visita, meno stress per i dipendenti. Altro esempio virtuoso è Madrid dove, da anni, è previsto l’ingresso gratuito ai musei nell’ora precedente la chiusura.
Chi apprezza la coda la vede, ma ordinata e discreta, e soltanto per un tempo ragionevole, un tempo prezioso, che i turisti non perdono più rinunciando alla visita di un secondo o terzo museo (danno culturale) o, addirittura, saltando il ristorante o lo shopping (danno economico al «sistema Paese»). Quindi, sarebbe possibile evitare le code, nelle domeniche gratuite e non solo? Gli strumenti forse ci sono. Per mera ipotesi: un semplice software che gestisca le fasce di affluenza, magari affiancato a un Qr code da fornire ai visitatori al momento della prenotazione.
Basta provarci, convinti che i «grandi numeri» non sono (e non dovrebbero essere) il segno del successo turistico dell’Italia.