«La Strada», mostra curata da Peter Doig da Gagosian a New York presenta un ritratto della vita urbana vista attraverso gli occhi di 16 pittori. Suddivisa in tre sezioni, la mostra si apre sul capolavoro di Balthus che le da il titolo: «The Street» (1933), in prestito dal Museum of Modern Art. L’artista dipinge una scena di vita quotidiana fuori dal suo atelier parigino, dove le figure sono impegnate in diverse attività, ma appaiono distaccate, nessuna di loro infatti si incrocia con lo sguardo: «Il mistero di questo dipinto, afferma Doig, sta nel fatto che le figure appaiono come pietrificate, bloccate nei loro movimenti precisi ed enigmatici. C’è una fusione tra il mondo reale, quello dipinto, e quello del dipinto nel mondo reale». L’opera di Balthus è il punto di partenza per un’interrogazione profonda sulla città vista come luogo in cui si celano interazioni complesse, di alienazione e di violenza. Nella prima sala c’è un’atmosfera surreale, metafisica, carica di inquietudine e attesa, come se qualcosa di terribile fosse sul punto di accadere. Nel quadro di Giorgio de Chirico, «I piaceri del poeta», (1912), la calma precaria presagisce un cambiamento storico e culturale nefasto. L’opera è esposta accanto al quadro di Martin Wong, «Untitled (Poetry Storyfront)», (1986), che raffigura la facciata del Nuyorican Poets Café nel Lower East Side di Manhattan, chiuso da una sbarra con un lucchetto. L’opera fa parte di una serie in cui Wong ha esplorato la gentrificazione del quartiere newyorchese, dipingendo le facciate dei negozi a grandezza naturale, chiusi con dei cancelli, come simboli di esclusione e trasformazione forzata. Proseguendo al piano inferiore, la prospettiva e le percezioni sulla città vengono ribaltate, per mostrarne il lato più oscuro, di marginalizzazione e sopraffazione.
L’opera di Lotte Maiwald «…den Fehdehandschuh hinwerfen» (2021), che partendo dal pavimento si estende sulla parete, rende consapevoli di ciò si trova al piano inferiore. La relazione tra la disconnessione emotiva e la crudeltà è uno dei temi principali della mostra. In «Heater» (1964), Vija Celmins dipinge un termosifone elettrico isolato su uno sfondo grigio e vuoto. Rifiutando l’espressività del gesto legata all’ego dell’artista, Celmins opta per una pittura lenta e processuale, scegliendo di rappresentare oggetti comuni e prodotti in massa, impersonali, che trova nel suo studio. L’opera evoca una sensazione di sterilità e assenza di umanità. Di fronte è esposta l’opera di Denzil Forrester «Tribute to Winston Rose» (1982), un omaggio ad un amico del pittore morto tragicamente sotto la custodia della polizia. La composizione affronta la marginalizzazione storica e le barriere sociali che hanno subito le comunità black in Inghilterra, diventando simbolo di una più ampia e radicata storia di esclusione e discriminazione. Dall’atmosfera surreale si passa gradualmente a rappresentazioni sempre più vivide della crudeltà umana, fino a culminare nella grande tela, vera protagonista della mostra: «Lions (Ghosts)», 2024 di Peter Doig. L’opera è stata precedentemente esposta, isolata, nella chiesa sconsacrata di Sant’Andrea de Scaphis a Roma. Qui, in dialogo con le altre opere, la taglia dei leoni che lottano in primo piano sembra ancora più monumentale, quasi a voler rimarcare il sopravvento della natura selvaggia su tutto il resto. La posizione al centro rispetto alle opere «Bird’s Hell» (1937-38) Max Beckmann e «Beelzebub» (1937) di Edward Burra suggerisce un’interrogazione ancora più viscerale sulle violenze estreme della natura umana. Ma se l’opera d’arte fa parte del contesto storico e sociale in cui viene creata, chi sono i leoni e chi i fantasmi? A Trafalgar Square per esempio, a Londra, le sculture di due leoni in bronzo, sono un simbolo imperiale. Dove origina la violenza? Chi è il leone che sta sopra e quello che sta sotto? Chi domina e chi é dominato? Chi ottiene il diritto di difendersi, e chi il diritto di resistere? A quest’opera é dedicata la terza e ultima sala della mostra, in cui sono esposti i disegni preparatori, che mostrano il processo creativo dall’artista. Doig si confronta con la storia dell’arte, esplorando le decisioni e le considerazioni fatte dagli artisti rispetto al loro contesto storico e culturale, interrogandosi in profondità sul significato dell’arte.