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Rosalba Cignetti
Leggi i suoi articoli«I corvi gracchiano, la neve incombe minacciosamente e l’uomo, sentendosi sradicato, si isola in se stesso». È un verso tratto da «Vereinsamt», poesia scritta da Friedrich Nietzsche nel 1884, evocazione di un tetro paesaggio invernale simbolo di solitudine esistenziale, che ben riassume l’atmosfera dell’omonima mostra collettiva visibile da Sprüth Magers a Londra dal 4 aprile al 17 maggio. Oliver Bak, Eugène Carrière, Guglielmo Castelli, Enzo Cucchi, Enrico David, Leonor Fini, Anne Imhof, Alexej von Jawlensky, Conny Maier, Rosemarie Trockel, Andro Wekua sono gli artisti moderni e contemporanei nelle cui opere passato e presente, realtà e immaginazione si intrecciano scandite da un linguaggio che segue i meccanismi onirici. Tra gli artisti esposti il pittore danese Oliver Bak, nato a Copenaghen nel 1992, presenta il dipinto «Opal» del 2024, una cangiante variazione monocromatica sospesa tra le tonalità blu dell’opale che danno forma alla figura di un uomo disteso, una spettrale visione, un bagliore di luce che si fonde con il paesaggio in una commistione di luci e di ombre di romantica memoria. L’opera di Leonor Fini è attraversata da un oscuro simbolismo che dà forma ai fantasmi dell’inconscio, l’espressionismo di von Jawlensky sottolinea invece l’isolamento emotivo dei personaggi ritratti, attraverso l’uso di colori acidi che accentuano la tensione tra l’interno e l’esterno. Visioni oniriche e memorie ataviche animano l’opera di Enzo Cucchi, tra i protagonisti della Transavanguardia, nel suo lavoro guarda alle radici collettive dell’immaginario religioso, dando forma a scenari popolati da teschi, paesaggi desolati dove l’uomo incontra se stesso, le sue paure e la sua solitudine. Tra le opere esposte anche quelle di una delle più importanti artiste concettualiste tedesche, Rosemarie Trockel, che studia la dimensione sociale e psicologica dei soggetti rappresentati attraverso l’analisi di gesti simbolici e rituali. La mostra è lo specchio di un tormento interiore che ritorna spesso nelle opere esposte, esprimendo una forza che disgrega i soggetti dall’interno, perché, come diceva Nietsche: «Nella solitudine, il solitario divora se stesso».