Dal filosofo greco Eraclito, fautore della massima «πάντα ῥεῖ» (tutto scorre), al drammaturgo tedesco Gotthold Ephraim Lessing e la sua visione «connessa» e «intrecciata» della natura, sino ad arrivare alla legge della conservazione della massa del biologo ed economista francese Antoine-Laurent de Lavoisier («nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma»), da secoli l’abilità del mondo circostante di sapersi reinventare e presentarsi sotto altre forme ha affascinato studiosi e i pensatori di ogni latitudine. Lo si percepisce nella prima personale dell’artista multidisciplinare nigeriana Otobong Nkanga (Kano, 1974) con la Lisson Gallery di Londra, «We Come from Fire and Return to Fire», che aprirà al 27 di Bell Street dal 23 maggio (fino al 3 agosto).
Riconosciuta come una tra i maggiori pionieri della scultura contemporanea dal Nasher Prize, premio biennale organizzato dall’omonimo centro di Dallas, Nkanga ha fatto della sua arte un’opportunità per sondare la reciprocità e il conflitto che scandiscono la relazione tra l’essere umano, la natura e i suoi elementi primordiali. Affidandosi alla capacità di materiali come argilla, corda, vetro, legno, tessuti, oli, e anche alle erbe aromatiche, di riportare alla mente suggestioni e sensazioni proprie dell’universo, l’artista ha dato forma a un ecosistema a sé stante, multisensoriale e in continuo rinnovamento.
Piuttosto che sfruttare l’effetto shock di messaggi ambientali dal tono sensazionalista, Nkanga guarda alla crisi climatica come a una metafora della fragilità e delle ferite riportate dalla comunità internazionale che l’ha provocata. Qui, pietre e minerali dalla conformazione e dall’origine differente diventano un tappeto che invita i visitatori ad addentrarsi nel percorso espositivo, mentre torri di ceramica raku si ergono a simbolo dei roghi che hanno devastato i polmoni verdi dei nostri continenti negli ultimi decenni. Non mancano però elementi capaci di rinvigorire l’impegno ambientale degli spettatori: corpi d’acqua, aromi essenziali e polveri capaci di «purificarci», alla maniera delle fonti battesimali.
Spaziando tra scultura, video, performance e arte tessile, il percorso abbraccia la spiritualità, incarnata da talismani intessuti a mano sospesi a mezz’aria, o «Silent Anchors», cascate di ciondoli in legno e vasi in vetro soffiato dalle sagome biomorfe, per rispondere alla domanda: «What are you going to do?» (Che cosa farai?). Questo il quesito posto dall’opera audiovisiva «Wetin You Go Do» (2020), la quale immerge il pubblico in un turbinio di voci, tutte interpretate dalla stessa Nkanga, in un flusso di coscienza dal respiro surreale. Impersonando un’ipotetica Madre Natura e stati psicologici estremi e mettendo in scena una caricatura di un manifestante politico, l’artista ha creato un ambiente complesso e discordante dove elementi arsi dalle fiamme si giustappongono ad altri capaci di ripararsi e ripararci, evidenziando così «l’interconnessione di tutte le cose».