Sylvia Ferino
Leggi i suoi articoliFranco Maria Ricci ha sempre dimostrato una predilezione per l’insolito e la bizzarria, così come per i labirinti, i paradossi, le Vanitas e i Memento Mori. Questa predilezione è emersa anche nel libro dedicato alla mosca, intitolato Musca Depicta. Il saggio principale, «La burla della mosca», scritto da André Chastel, rappresenta il primo studio importante sul tema della rappresentazione della mosca nella pittura europea dal XV al XVII secolo. Questo libro è anche alla base dell’omonima mostra organizzata dal Labirinto della Masone a Fontanellato (Pr), apertasi il 6 aprile, a quarant’anni dalla pubblicazione del volume («Musca Depicta. C’è una mosca sul quadro», fino al 30 giugno, a cura di Sylvia Ferino ed Elisa Rizzardi, Ndr).
Chastel si concentrava sulla mosca come realizzazione artistica, come illusione dell’occhio, come trompe l’œil. E ciò avveniva quindici anni prima che il tema dell’autoreferenzialità in pittura, della meta-pittura e quindi dell’inganno, ancora oggi attuale, fosse ampiamente affrontato. In una recente mostra, si suggeriva di chiamare i trompe l’œil «Fake Views».
Le mosche posate sui dipinti, piuttosto che dipinte all’interno delle opere, divennero quasi un «marchio di fabbrica» dell’eccellenza artistica di pittori come Van Eyck e il suo seguito al Nord, così come di Squarcione, Mantegna e Crivelli nell’Italia settentrionale del XV secolo. Questo contribuì a conferire alla mosca uno status unico, all’epoca e ancora oggi non accordato ad altri insetti. Se i pittori dell’antichità, celebri per le loro abilità illusionistiche, non avevano utilizzato la mosca come motivo, nel Quattrocento e nel primo Cinquecento nessun altro insetto divenne così centrale nel connubio tra realtà e finzione. Filarete e Giorgio Vasari raccontano che Cimabue, credendo che una mosca dipinta dall’allievo Giotto su una sua figura fosse reale, cercò di scacciarla in un moto che divenne famoso come «gesto di Cimabue».
Nessun altro insetto ispirò anche tanta letteratura dall’antichità ad oggi: nel volume che accompagna la mostra al Labirinto della Masone, Carlo Ossola ha dedicato uno studio antologico ai testi sulla mosca e la prima opera che il visitatore incontra lungo il percorso espositivo è proprio il manoscritto originale dell’Encomium dell’insetto di Leon Battista Alberti, un punto di incontro fra arte e letteratura.
Segue una prima sezione che ospita ritratti di varie scuole, da quella di Dürer e di Raffaello, fino a Ligabue e Maurizio Bottoni: qui la rappresentazione della mosca deve interpretarsi come inganno dell’artista o come portatrice di ulteriori significati. Nell’arte cristiana, per esempio, la mosca ha assunto una connotazione negativa onnipervasiva, che deve essere automaticamente considerata in tutte le sue apparizioni nei dipinti: quella del diavolo, del peccato, della seduzione, dell’idolatria, dell’impuro, della malattia. Il motivo per cui la sua apparizione ha comunque, e forse anche involontariamente, un sapore più ironico che umoristico, è forse semplicemente perché un essere così insignificante è gravato da una significatività così incommensurabile.
Dall’opera importantissima e precoce di Giovanni del Biondo, la «Madonna dell’Apocalisse con santi e angeli» dei Musei Vaticani, con mosche che si trovano ad assistere alla decomposizione di un corpo umano, si passa a un’elegante rappresentazione di «Susanna e i Vecchioni» di Frans Floris, a «San Girolamo nello studiolo» di Joos van Cleve, che introduce il tema del Memento Mori. Il soggetto è poi sviluppato da artisti come Ligozzi, Maurizio Bottoni e Damien Hirst.
Alla fine del XVI secolo, l’interesse per la mosca come simbolo d’inganno cambia sotto l’influenza degli studi naturalistici: troviamo l’insetto nelle magnifiche rappresentazioni di nature morte, che rappresentano un’ulteriore forma evolutiva del trompe l’œil. Ora la mosca deve competere «come creatura vivente» con altri insetti molto più affascinanti, con cui condivide solo la medesima breve esistenza, in un mondo «immobile».
Un’altra importante sezione della mostra è costituita dalla rappresentazione della mosca nei primi studi entomologici, curata da Giuseppe Olmi e Lucia Tomasi Tongiorgi: una parte, questa, che dà spazio ai progressi del sapere nel settore, dalle scoperte di Ulisse Aldrovandi nel 1602, fino ai rivoluzionari risultati osservati da Galileo Galilei con il microscopio. Questi studi hanno influenzato anche Kurt Neumann nel suo celebre film «L’esperimento del dottor K (The Fly)» del 1958.
In un gruppo di dipinti influenzati da questi primi studi di entomologia, troviamo le mosche in compagnia di altri animali, come la lepre düreriana (Hans Hoffmann), la rana (in una scena drammatica di Ambrosius Bosschaert il Giovane) e la «Grande mucca» di Maurizio Bottoni. E ancora, le mosche stanziano su corpi umani, come nel dipinto di un’affascinante donna di Frans van der Mijn e nel famoso video di Yoko Ono.
Le opere di Enrico Robusti e Luigi Serafini chiudono questa sezione, ma con un ironico post-scriptum sull’«Amore vincitore» di Orazio Riminaldi. Si invita quindi il visitatore della mostra «Musca Depicta» a riflettere su questa piccola creatura non senza tenere a mente quanto scritto da Leon Battista Alberti che, alla fine del suo Encomium, consiglia: «Questo io ridendo ho scritto e voi ridete».