Alessandro Morandotti
Leggi i suoi articoliLa divulgazione storico artistica è cosa seria e dispiace che su quotidiani illustri, dove nel passato hanno scritto, tra gli altri, Giuliano Briganti, Enrico Castelnuovo e Federico Zeri,si assista a una sua caricaturale deriva. In una sequenza ravvicinata, sulle pagine nazionali dei quotidiani del gruppo Gedi, si leggevano, rimanendo attoniti, due articoli, sebbene più di cronaca che di critica, davvero un poco improvvisati.
Primo pezzo, da esilarante antologia della comicità involontaria. Su «La Stampa» del 27 novembre, in margine alla piccola mostra visibile nelle sale del Palazzo Reale di Genova dedicata ad alcuni ritratti di Jacob Ferdinand Voet, un pittore fiammingo capace di tradurre, anche se talvolta in modo seriale, gli insegnamenti di Van Dyck, il nome dell’artista, a causa forse del correttore automatico che ama i vini francesi con le bollicine, veniva riproposto più volte, nel titolo come nel corpo del testo, nell’elegante formula «Moet». Ne prendiamo atto.
Passano poche settimane, e l* stess* giornalist*, su «la Repubblica» del 23 dicembre, ha celebrato con toni esaltati una mostra sempre visibile a Genova, nelle sale di Palazzo Pallavicino, ora sede di una fondazione privata voluta dal proprietario. L’evento, che è durato tre giorni, meno di un’esposizione d’asta, prendeva in considerazione i dipinti di Bernardo Strozzi della raccolta Pallavicino, già oggetto di una pubblicazione sulla quadreria del Palazzo curata da Piero Boccardo e Anna Orlando alcuni anni fa (2009, un libro Allemandi), tra i quali va annoverato uno dei capolavori del pittore, il festoso e coloratissimo «Giuseppe spiega i sogni».
In questa cornice indimenticabile veniva presentato un inedito di collezione privata, esposto su un cavalletto, un «Cristo dormiente tra i simboli della Passione», opera di suggestiva invenzione iconografica ma di qualità non particolarmente significativa. Quest’esemplare in mostra, esposto accanto a quattro dipinti noti da tempo, non arricchiva in alcun modo le nostre conoscenze sul pittore e sorprende che nell’articolo l’esposizione venisse esaltata come se fosse stata l’occasione della riscoperta di Strozzi. Occhi aperti, please.
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