La galleria 29 ARTS IN PROGRESS, nel quartiere di Sant’Ambrogio di Milano, invita il pubblico a guardare i conflitti armati con un nuovo sguardo, attraverso le immagini di Gabriele Micalizzi (classe 1984). «A Kind of Beauty» in mostra dal 4 aprile al 28 giugno 2024, presenta una selezione delle immagini più significative dell’archivio di negativi del fotografo, dalle immagini in bianco e nero stampate ai sali d’argento a quelle a colori, per raccontare due decenni di guerra.
Micalizzi ha lanciato la sua carriera come fotogiornalista a 23 anni, quando accompagnò l’esercito italiano e francese in Afghanistan. Da allora, ha documentato i principali conflitti mondiali, dalla Primavera araba alla Siria.
«Sono sopravvissuto a quattro attentati, ho oltre 100 punti sul mio corpo, ma niente mi fermerà dal raccontare la storia e dare voce a chi non ne ha», racconta il fotografo, che non si è fermato nemmeno dopo essere stato colpito da un razzo dell’IS in Siria.
In ambito militare, la zona di un conflitto è definita un teatro e così essa appare anche nelle immagini del fotografo milanese, in cui ogni persona ritratta ha un suo ruolo da giocare in quel preciso istante. Il risultato è un racconto profondamente evocativo, un esempio di come un reportage giornalistico possa diventare un’opera d’arte, senza però ridursi a una ricerca estetica e compositiva.
«Gabriele ha una straordinaria capacità di sintesi, riesce a coniugare in un unico scatto poesia, potenza e bellezza, illustra la curatrice della mostra Tiziana Castelluzzo. Le sue fotografie, anche quelle più esplicite, sono espressione metaforica di una realtà più ampia, più complessa che induce lo spettatore a porsi interrogativi sugli eventi, sull’uomo e sulla natura dei conflitti».
In questo periodo storico in cui le fotografie sommergono e stordiscono la coscienza collettiva, Micalizzi invita il pubblico a immergersi nella complessità della guerra, a elaborarne i diversi significati e dettagli in modo critico. La vicinanza del fotografo ai soggetti ritratti, il suo mettersi in prima linea con i combattenti, infonde le immagini del carico emotivo del conflitto. La macchina foto diventa così uno strumento per permettere e imporre a chi guarda di rivivere le emozioni del momento dello scatto, in un contesto tutto è enfatizzato, accelerato e la solidarietà è essenziale.