Vittorio Sgarbi
Leggi i suoi articoliQuale sia la posizione della cultura nella coscienza comune è rivelato da un indizio labile ma inequivocabile. Ho voluto proporlo al workshop sul tema «L’educazione all’arte e alla cultura: il ruolo delle istituzioni pubbliche e dei privati», organizzato dalla Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro a Perugia, introdotto da Carlo Colaiacono e concluso dal ministro Stefania Giannini e dal presidente Antonio D’Amato. Provocato dal moderatore Virman Cusenza, direttore di «Il Messaggero», ho voluto proporre una esemplificazione legata al mondo dei giornali.
Ho raccontato che, qualche giorno fa (il 18 marzo, Ndr), in occasione dell’inaugurazione della mostra «Lotto, Artemisia, Guercino. Le stanze segrete di Vittorio Sgarbi», l’amico giornalista del «Corriere» Carlo Vulpio con entusiasmo mi disse: «Ho scritto della tua mostra in un articolo per la Terza Pagina». Ha detto e ribadito «Terza Pagina» per almeno tre volte. Ho pensato allora che, dopo tanti anni di astinenza, il nuovo direttore Luciano Fontana avesse stabilito di ripristinare la gloriosa Terza Pagina, secondo la proposta da me già fatta a Vittorio Feltri per «Il Giornale» che non ebbe seguito. Feltri mi disse che i lettori vogliono approfondire le notizie della «Prima Pagina», divise fra politica e criminalità, e questo ha fatto slittare la Terza alla quindicesima o diciassettesima, irrimediabilmente.
Nel mio ottimismo avevo registrato la dichiarazione di Vulpio come una doppia buona notizia: il suo articolo e la rinascita della Terza Pagina. Così, nel giorno prestabilito, ho acquistato il «Corriere» e ho aperto la Terza Pagina. Non c’era traccia dell’articolo di Vulpio. Ho pensato a uno slittamento imprevisto e sono andato alla quinta, poi alla settima, poi alla nona e avanti avanti, fino alla trentasettesima. Esausto, stavo per rinunciare, quando ho trovato il sospirato articolo a pagina 39. Dalla terza alla trentanovesima.
Eppure ricordo, agli inizi della mia carriera di curatore di mostre, una recensione sul «Corriere» di Giovanni Testori per «Palladio e la Maniera» (1980), nella reale Terza Pagina. Dopo 36 anni la terza è slittata di trentasei posti. Come sia potuto accadere non è difficile spiegare, ma, seguendo le indicazioni di Feltri, ho voluto anche verificare quale fosse l’argomento della terza giustificato dall’interesse generale: l’intera pagina era occupata dalla maternità della Meloni, che già teneva posizioni alte da almeno dieci giorni, e chissà per quanti ancora.
Ora, immaginare che opere di Lotto, Artemisia, Ribera, Cavalier d’Arpino destassero minore interesse del cruciale tema relativo alla maternità della Meloni mi è sembrato irrealistico e improbabile. Eppure, dato per acquisito. Si arriva alle pagine della Cultura esausti e forse depotenziati di ogni interesse. Tutto è più importante. Cusenza ha cercato di obiettare che, per certi versi, i tempi sono mutati in meglio, se è vero che, «in talune occasioni, i temi della cultura e delle problematiche relative ai Beni culturali, con non oziose polemiche, vanno in prima pagina». Ho obiettato che «la Repubblica», in prima, qualche mese fa pubblicò un articolo sui cattivi restauri nella chiesa inferiore di San Francesco d’Assisi, con eloquenti fotografie. Taroccate. Infatti, come io ho verificato con un sopralluogo il giorno dopo, gli ultimi restauri erano stati effettuati più di trent’anni fa. In questo caso la prima pagina era stata usata per una polemica pretestuosa, in nessun modo compensativa della recessione della Terza.
La morale è evidente. C’è poco da fare convegni sull’educazione e l’arte se, nei quotidiani e, non diversamente, in televisione, lo spazio per l’arte è cosi marginale da rischiare di essere invisibile o introvabile. Così come pochi sono svegli alle due di notte, quando la cultura o ciò che ne resta è amministrata da Gigi Marzullo, altrettanto pochi arrivano a leggere i giornali fino a pagina 39. Perché allora chiamarla Terza Pagina, se è la trentanovesima? C’è una foglia di fico: «Terza Pagina», in maiuscoletto, ed è il titolo della pagina della cultura, e non solo del «Corriere», per ricordare i perduti fasti quando la gloriosa Terza Pagina era effettivamente in terza pagina. Accondiscendendo al (supposto) gusto del lettore, lo si è viziato e drogato con i cosiddetti approfondimenti, sottraendogli il piacere dell’inutile, ma anche della vera conoscenza che la Terza Pagina garantiva.
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