Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliL’appena concluso restauro del gruppo bronzeo di Donatello «Giuditta e Oloferne» (1457-64), affidato a Nicola Salvioli, è stato sostenuto dalla Fondazione Friends of Florence grazie al dono di Catharin Dalpino, Anna & Paul Friedman, Ann & Phil Hughes, Judith & Arthur Rubin, Loralee West.
La celeberrima scultura, firmata dall’artista sul cuscino su cui poggiano le due figure, si distingue sia per la sua alta qualità espressiva nell’ambito stesso del percorso artistico di Donatello, sia per il significato che rappresentò per la città. Infatti, nel 1495, anno successivo la cacciata dei Medici, il gruppo fu confiscato dal giardino dell’antica residenza medicea di via Larga (l’attuale Palazzo Medici Riccardi), per la quale secondo l’ipotesi più accreditata era stato commissionato intorno al 1457 da Piero de’ Medici (a fare da contrappunto al David bronzeo del medesimo scultore), dalla Signoria fiorentina che lo pose vessillo di libertà repubblicana sull’Arengario di Palazzo Vecchio, sede del governo cittadino.
Pur essendo un tema biblico, quello di Giuditta e Oloferne ha declinazioni laiche, simbolo del trionfo dell’umiltà sulla superbia e della virtù sulla lussuria, ma anche modello di fortezza e libertà (significati indicati nelle epigrafi sul basamento, andate perdute perché sostituite al momento del trasferimento in piazza Signoria). «Giuditta e Oloferne» rimarrà nell’Arengario fino al 1504 per lasciar posto al «David» di Michelangelo. Sembra che la decisione sia stata presa perché venne giudicato sconveniente che la città fosse rappresentata da una donna che uccide un uomo e perfino perché alcuni le attribuivano la colpa di essere un segno di cattivo augurio, in quanto lì giunta quando Firenze stava perdendo il dominio di Pisa. Due anni più tardi il gruppo sarà tuttavia di nuovo in piazza, sotto la Loggia della Signoria. Nel 1919 tornò sull’Arengario di Palazzo Vecchio, da cui sarà rimosso dopo il restauro del 1986-88 (ultimo intervento consistente prima di quello attuale, a cura dell’Opd) per esser esposto nella Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio e sostituito sull’Arengario da una copia.
Il restauro odierno, oltre a liberare la statua dallo strato copioso di pulviscolo atmosferico depositato per effetto dell’attrazione elettrostatica e della proprietà adesiva del protettivo, ha perfezionato gli interventi eseguiti nel 1986-88 attraverso l’applicazione delle nuove strumentazioni e conoscenze acquisite, rendendo i lavori un momento di approfondimento conoscitivo dell’artista, come sempre raccomandato da Marco Ciatti, il soprintendente dell’Opd da poco scomparso. La prima fase aveva preceduto la mostra «Donatello. Il Rinascimento» a Palazzo Strozzi (2022), poiché il bronzo faceva parte del percorso parallelo sul territorio, mentre la seconda parte è stata avviata dopo qualche mese, quando i risultati diagnostici definitivi hanno confermato la necessità di un intervento più articolato di una semplice manutenzione straordinaria.
Sono state così rimosse tutte le problematiche conservative del metallo generatesi in questi decenni e che purtroppo continuano a progredire, sebbene più lentamente, nonostante il ricovero all’interno del museo. Tra gli aspetti più significativi dell’intervento va menzionata la ritrattazione di alcuni bruschi passaggi cromatici (e con essi alcune sostanze minerali superficiali) indotti da diverse patine di alterazione più o meno stabili, mediante la rimozione o l’assottigliamento dei prodotti di corrosione dovuti a processi di ossidazione o a residui di depositi, prodotti finora non del tutto eliminati a causa della strumentazione tecnica meno duttile e della diversa conoscenza della materia. Altre alterazioni erano state generate dalle operazioni di calco diretto (pratica oggi superata) eseguite per la realizzazione della copia sull’Arengario.
Prezioso è stato l’impiego del laser messo a disposizione dalla ditta El.En, che proprio all’Opificio delle Pietre Dure, oltre un ventennio fa, veniva tarato sui bronzi dorati. In particolare, il laser è stato applicato sui frammenti aurei. La scultura, come altre del tempo e dello stesso Donatello era infatti impreziosita da dorature e già la spolveratura del 2004 aveva individuato tre piccolissime tracce di doratura a foglia. Ora, con l’osservazione al microscopio a contatto di tutta la superficie centimetro per centimetro e incrociando i dati delle analisi con informazioni fornite da alcune osservazioni ravvicinate di inizio ’900, è stato possibile riportare alla luce frammenti in più aree, per un totale di circa 13 centimetri quadrati.
Una stesura filmogena di vernice acrilica, coperta a sua volta da uno strato di sacrificio di cera analoga a quella del precedente restauro, costituisce la protezione finale. Nuove informazioni sono state infine acquisite su particolari dell’assemblaggio del bronzo ed è stato eseguito un intervento di manutenzione del basamento lapideo del gruppo bronzeo (spolveratura, lavaggio delle superfici e sostituzione dello zoccolo di rivestimento del supporto metallico su cui poggia la scultura all’interno della Sala dei Gigli). La direzione dei lavori spetta a Serena Pini, funzionaria curatrice del Museo di Palazzo Vecchio, con la collaborazione del Servizio Musei, Biblioteche, Archivi del Comune di Firenze sotto l’alta sorveglianza di Lia Brunori, funzionaria storica dell’arte della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le provincie di Pistoia e Prato. Nel restauro, Salvioli è stato coadiuvato da Paola Dalla Torre per il bronzo e Lara Viviani per il basamento lapideo.
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