Anny Shaw
Leggi i suoi articoliUn numero crescente di gallerie in tutto il mondo offre l’arte come forma di investimento, ma gli organi legali sono stati lenti ad agire in un settore che è ancora tema di aperta discussione tra acquirenti e venditori, almeno fino a oggi. Il mese scorso, l’autorità pubblica responsabile della regolamentazione dei mercati finanziari italiani ha sospeso l’offerta di una società italiana che proponeva di vendere dipinti e di riacquistarli 18 mesi dopo con un aumento di valore garantito del 6,8%. Nella sua decisione del 14 maggio, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob) rileva come la società, Art Invest Srl, sostenga che gli acquirenti possono «investire in sicurezza in opere certificate e garantite». In un video pubblicato sui social media, la società affermava che era possibile «acquistare opere d’arte certificate per un importo minimo di 3mila euro». Il messaggio promozionale specificava, inoltre, che «attraverso un contratto di riacquisto al termine dei 18 mesi [il cliente avrebbe potuto] scegliere se tenere le opere acquistate o restituirle per il valore dell’importo speso, maggiorato del 6,8%». In particolare, si legge nella sentenza, la struttura dell’operazione viene presentata come una «forma di investimento di natura finanziaria», con l’arte che è trattata come un prodotto finanziario pubblicizzato al pubblico italiano. Questo non sarebbe illegale, ma, secondo la sentenza, Art Invest Srl non si era registrata presso la Consob né aveva rispettato le condizioni necessarie, tra cui la pubblicazione di un prospetto informativo che fornisse i dettagli dell’investimento proposto al pubblico.
Art Invest Srl, che non è stato possibile raggiungere per una replica, ha 60 giorni di tempo per rispondere alla sentenza. Massimo Sterpi, socio dello studio legale italiano Gianni & Origoni, afferma che le aziende e le persone spesso «sottovalutano la complessità di queste strutture». E aggiunge: «Il solo fatto di operare nel settore del collezionismo d’arte non significa essere esenti dalle regole del commercio, dalla tassazione delle attività commerciali o dalla regolamentazione finanziaria». Sterpi suggerisce che vari soggetti che offrono investimenti con profitti garantiti operano più come banche che come mercanti d’arte, ma senza alcuna protezione, come la detenzione di una certa quantità di capitale a garanzia, della protezione contro l’insolvenza e sistemi di garanzia delle somme investite.
Afferma Sterpi: «In termini generali, la creazione di qualsiasi nuova struttura finanziaria che abbia a che fare con l’arte dovrebbe tener conto che l’arte è un bene che ha un prezzo e viene fatto circolare secondo le normali regole commerciali». L’avvento degli NFT ha spinto la Consob a dare un giro di vite alle offerte di investimento negli ultimi anni, ma Sterpi osserva anche una «crescente attenzione da parte delle autorità finanziarie a questo tipo di schemi, soprattutto quando vengono diffusi sui social network». La sentenza italiana avrà quindi un effetto sulle giurisdizioni di altri Paesi? L’uso dei social media e di altri strumenti online potrebbe complicare le cose. Come sottolinea Sterpi, una galleria o un’entità può avere sede in un Paese, ma «non appena inizia a rivolgersi attivamente a un pubblico, ad esempio nel Regno Unito, organizzando una conferenza o inviando e-mail, è tenuta a rispondere alle leggi britanniche».
La Financial Conduct Authority (FCA) del Regno Unito non è ancora intervenuta come la Consob. Jon Sharples, senior associate presso lo studio legale Howard Kennedy di Londra, afferma che è sorprendente che non ci sia stato lo stesso tipo di azione normativa nel Regno Unito, «in particolare perché negli ultimi anni sono nate molte strutture di investimento nel Regno Unito». Uno dei motivi per cui Sharples ritiene che la FCA non abbia agito è che molte delle offerte vengono «pubblicizzate in un modo che non è del tutto pubblico: si tratta di pubblicità molto mirata sui social media a seconda del profilo specifico». In secondo luogo, osserva Sharples, «c’è anche l’idea che il problema riguardi le persone facoltose: non si tratta di un fenomeno sistemico che colpisce la gente comune, quindi non è una priorità». Tuttavia, Sharples aggiunge che: «è solo questione di tempo prima che qualcuno, deluso dalle promesse fatte, decida di fare causa». Qualunque sia la vostra giurisdizione, suggerisce Sterpi: «dovreste comprare arte solo perché vi piace».
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