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Una veduta della mostra «Assembly» a cura di Taous Dahmani, Jaou Tunis 2024

© Mehdi Ben Temessek. Cortesia di Jaou Tunis

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Una veduta della mostra «Assembly» a cura di Taous Dahmani, Jaou Tunis 2024

© Mehdi Ben Temessek. Cortesia di Jaou Tunis

La Biennale Jaou Tunis verso un futuro collettivo: Taous Dahmani

Quello tunisino non è «solo» un evento, ma un appuntamento internazionale pensato per sfidare l’egemonia occidentale e promuovere l’arte del Sud globale. Ne parla la curatrice

Rica Cerbarano

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La Biennale Jaou Tunis prosegue fino al 9 novembre. Per approfondire il programma espositivo, abbiamo intervistato Taous Dahmani, una delle curatrici invitate per questa settima edizione. Il lavoro di Dahmani, storica dell’arte e scrittrice franco-anglo-algerina, indaga principalmente il legame tra fotografia e politica. Per Jaou Tunis ha curato le mostre «Assembly» e «Unstable Point».

«Home» di Farren Van Wyk. © Farren Van Wyk. Cortesia dell’artista

Partiamo da una domanda molto semplice e forse scontata: come si allineano le due mostre che ha curato con il tema della Biennale «Arte, resistenza e ricostruzione dei Futuri»?
Quando Lina Lazaar, la direttrice artistica di Jaou, le nostre conversazioni iniziali si sono focalizzate su questioni cruciali all’interno del contesto tunisino e sui dialoghi necessari nell’area dell’Asia sud-occidentale e dell’Africa settentrionale. La resistenza è emersa subito come un tema centrale. La mostra «Assembly» offre una contro-narrativa alle immagini sensazionalistiche del mondo arabo che spesso dominano i media occidentali, celebrando pratiche artistiche che ampliano il linguaggio visivo usato per raccontare storie di resistenza e resilienza dei cittadini. Il lavoro di Abdo Shanan, Hichem Driss, Lydia Saidi, Mashid Mohadjerin, Zied Ben Romdhan, Ghyzlène Boukaïla, Joyce Joumaa, Mahasen Nasser-Eldin e Nermine Hammam dà vita a questa idea attraverso la ricerca archivistica, i collage, la manipolazione delle immagini, la fotografia documentaria, così come i racconti in prima persona e le narrazioni speculative alternative. Sebbene i progetti di questi artisti affrontino questioni politiche, rimangono profondamente personali, vulnerabili e sensibili. Per «Unstable Point», ho curato le opere dei 12 artisti (Ethel Aanyu, Louisa Babari, Ilias Bardaa, Yasmine Belhassen, Jasmin Daryani, Sameer Farooq, Lina Geoushy, Amina Kadous, Maram Nairi, Adam Rouhana, Moboloji Ogunrosoye e Farren Van Wyk), riuniti attorno a una citazione del sociologo Stuart Hall, che nel 1987 scrisse: «L’identità si forma nel punto instabile dove le storie “indicibili” della soggettività incontrano le narrazioni della storia, di una cultura». Ciascuno a suo modo, creano un dialogo che mette in relazione le loro vite personali con gli ambienti transnazionali più ampi in cui si muovono. C’è qualcosa di veramente unico e speciale nell’intreccio dell’intimo con il contesto sociale più ampio.

Zied Ben Romdhane, Tunisi, 2023. © Zied Ben Romdhane / Magnum Photos

Entrambe le mostre affrontano il tema dello spazio pubblico. «Unstable Point» per la sua ubicazione e «Assembly» per il concept. È un argomento molto sentito in Tunisia?
Lo spazio pubblico in Nord Africa è un’esperienza complessa e un argomento vivace di discussione, come si vede nella letteratura di Yasmina Khadra, che usa spesso i paesaggi urbani come simboli per affrontare questioni sociali e politiche più ampie. Il discorso sullo spazio pubblico riflette tutte le sfaccettature socio-politiche del mondo arabo. Per le donne, può essere un terreno conteso (come si vede nel lavoro di Fatima Mernissi, ad esempio), eppure rimane vitale per favorire connessioni umane e relazioni. Lo spazio pubblico è il luogo dove la condivisione, il dialogo e gli incontri prendono vita; si trova al centro della nostra esperienza umana. 

Un’attenzione particolare è messa sulle nuove generazioni di artisti, in particolare sulle loro speranze per il futuro. Secondo lei, come possono essere supportati per crescere e ottenere visibilità internazionale?
La giovane generazione di artisti e fotografi in Tunisia, e in tutto il Nord Africa, affronta ostacoli significativi nell'accesso all'istruzione, anche quando si tratta di forme di apprendimento alternative. È urgente sviluppare più opportunità di formazione, workshop, programmi di mentoring e residenze, in modo da creare le condizioni per la loro crescita. I giovani artisti dovrebbero avere l’opportunità di lavorare con mentori che possano guidarli non solo nella loro pratica artistica, ma anche nello sviluppo della loro carriera. Inoltre, è importante ricordare che le opportunità di visibilità internazionale sono strettamente connesse alle restrizioni negli spostamenti e alla situazione economica limitata.

Una veduta della mostra «Unstable Point» a cura di Taous Dahmani, Jaou Tunis 2024. © Mehdi Ben Temessek. Cortesia di Jaou Tunis

Un tema ricorrente in queste due mostre è «il personale è politico». Come vede il rapporto tra esperienze personali, arte, politica e impegno civico?
«Il personale è politico» è più di un’affermazione per me; è una realtà di vita plasmata dalla mia storia ereditaria di immigrazione. Come donna, inoltre, non è solo un concetto, è un'esperienza vissuta e una convinzione cruciale. Non credo che l’arte o il pensiero artistico possano esistere in un vuoto; emergono sempre all’interno di un contesto storico, sociale e politico specifico. Il mio ambiente influenza profondamente sia il perché che il come faccio ciò che faccio.

«Portraits | Beauty, Observant» (2022) di Mobolaji Ogunrosoye. © Mobolaji Ogunrosoye. Cortesia dell’artista

La scrittura gioca un ruolo significativo nella sua pratica curatoriale. Come? 
Non riesco a pensare senza scrivere. È poggiando la penna sulla carta che organizzo i miei pensieri e dò senso a ciò che sto facendo. La maggior parte di questa scrittura è personale e guida il mio pensiero curatoriale. Tuttavia, per Jaou Tunis, ero pienamente consapevole del pubblico diversificato e volevo assicurarmi che i testi a parete fossero il più accessibili possibile. Ho una profonda avversione per il linguaggio artistico internazionale che aliena chiunque sia al di fuori dei circoli artistici. Le mie mostre sono per tutti.

Come considera il suo ruolo di curatrice nell’influenzare il settore della fotografia, e a sua volta, nel produrre un impatto sulla società?
Se le mostre cambiassero davvero la società, ce ne saremmo accorti ormai! [ride, Ndr] Non ho questa pretesa. Ma sono entrata nel campo della fotografia perché ho visto un vuoto, uno spazio che volevo riempire. Per me, l’impatto non riguarda solo i temi o i soggetti che esploriamo; riguarda anche il modo in cui i progetti vengono realizzati, ovvero con più cura, compassione e pazienza nel dare vita alle idee.

Taou Dahmani. © Lynn S.K.

Rica Cerbarano, 29 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

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