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«Educazione della Vergine», bottega di Georges de la Tour, 1650 ca, The Frick Collection, New York

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«Educazione della Vergine», bottega di Georges de la Tour, 1650 ca, The Frick Collection, New York

L'Europa della luce in Georges de La Tour

Ogni suo quadro rappresenta un capolavoro assoluto, di quelli che inducono al silenzio

Maria Cristina Terzaghi

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Milano. Georges de La Tour (1593-1652) è oggi considerato dai francesi una gloria nazionale, come Monet, Coco Chanel e lo champagne. Eppure la sua riscoperta avvenne poco più di un secolo fa, nel 1915, ad opera del tedesco Hermann Voss. Non ci si può stupire troppo: anche gli studi su Caravaggio ebbero inizio in Italia nel 1912, ma il primo a resuscitare il grande artista fu un tedesco Wolfgang Kallab, non molto tempo prima.

A differenza di Caravaggio, però, del cui percorso abbiamo oggi un’idea piuttosto chiara, gli studi ci hanno restituito ben poche notizie su La Tour. Nessuna menzione dei biografi antichi, solo tre opere datate, scarsissime notizie sui suoi committenti, nulla sulla sua formazione: il bilancio non è confortante. Eppure, ciascuno dei suoi quadri rappresenta un capolavoro assoluto, di quelli che inducono al silenzio, e i musei decidono raramente di separarsene anche solo per pochi mesi.

La mostra che da domani aprirà i battenti a Palazzo Reale di Milano, curata da Francesca Cappelletti e da Thomas Clement Salomon, esponendo ben sedici dipinti del maestro, è perciò uno di quegli eventi destinati a rimanere nella storia. In Italia mai era stata tentata una simile impresa, ma la mostra va oltre, collocando l’opera dell’artista nella storia della pittura europea della prima metà del Seicento, obbiettivo pienamente centrato.

Nato a Vic-sur-Seille, un paesello che oggi conta mille cinquecento abitanti, La Tour visse e lavorò quasi sempre a Lunéville, in Lorena, in un momento in cui la regione era un semplice ducato conteso tra Francia e Germania. Tra guerre e incendi, una politica pericolosamente altalenante, l’esistenza di La Tour dovette poi fare i conti con una famiglia numerosa composta da dieci figli. Tutti questi casi, oltre all’indubbia singolarità delle sue scelte stilistiche (che alternano un realismo feroce, ad una pittura meditativa e sintetica, interamente divorata dalla luce); e a quella dei temi iconografici (scene di genere o dipinti a lume di candela), hanno fatto sì che La Tour venisse considerato un pittore eccentrico, confinato alla periferia.

La sua è infatti una storia critica costellata da continue confusioni con altri artisti e da repentini cambi di prospettiva, come documenta il saggio di Dimitri Salmon nel ricco catalogo che accompagna l’esposizione. A giorno del passaggio dell’artista alla corte di Parigi e del suo impegno, seppur non molto prolungato, per Luigi XIII, a Palazzo Reale si gioca tutta un’altra partita, quella di un La Tour avido consumatore e geniale interprete della pittura del suo tempo.

Davanti alla modernità della Maddalena che posa la mano sul teschio che contempla nello specchio si resta sbalorditi, così come di fronte al Denaro versato, un quadro dal soggetto poco decifrabile, che testimonia una conoscenza di Caravaggio difficile da immaginare indiretta. Sì, perché l’altro grande problema è se un simile genio abbia potuto fare senza l’Italia: sono gli stessi studiosi francesi a dire ora che è impossibile. Avremo le idee più chiare dopo questa mostra, sempre che si abbia ancora interesse a parlare in prosa dopo essersi immersi nella pura poesia.
 

Maria Cristina Terzaghi, 06 febbraio 2020 | © Riproduzione riservata

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