Chiara Massimello
Leggi i suoi articoliDirettamente da Parigi, inaugura oggi (fino al 1° aprile), negli spazi espositivi di Triennale Milano, la mostra di Juergen Teller «I need to live», curata da Thomas Weski, in collaborazione con l’artista e Dovile Drizyte.
Come a Parigi, dove l’esposizione aveva luogo al Grand Palais Éphémère, il progetto di allestimento è stato realizzato dallo studio di Londra 6a architetcs: un percorso che guida e accompagna lo spettatore tra oltre mille fotografie che ripercorrono la carriera del grande fotografo tedesco, nato proprio il 28 gennaio di 60 anni fa ad Erlangen, cittadina poco distante da Norimberga.
La mostra è una panoramica sul lavoro di Teller, tra progetti personali, editoriali, commissioni e campagne di moda. Un’esposizione affascinante e sorprendente in cui è bello vedere come vita ed esperienze combacino con il lavoro e la personalità dell’artista.
Entrando al Grand Palais Éphémère, era inevitabile chiedersi come uno spazio così grande e vuoto (più o meno 10mila metri quadrati) potesse prestarsi a una personale di fotografia. La risposta era un allestimento semplice, ma efficace: una grande croce divideva la struttura e creava lunghe pareti di legno naturale (molto bello) che guidavano lo spettatore in un percorso pensato dall’artista stesso, quasi obbligato, in cui scorrevano i lavori divisi per serie; poi piccole stanze aperte per la proiezione dei video e tavoli leggeri (con magnifiche pennellature fucsia alla base, riproposti anche in Triennale) per la presentazione dei progetti editoriali. Niente da aggiungere, niente da togliere.
A Milano, lo spazio è più intimo e libero: la sequenza dei progetti e i formati ripensati in funzione del luogo. Una nuova percezione del lavoro, un nuovo percorso, ma la stessa forza. Tre sono le fotografie intorno alle quali ruota la mostra di Triennale, le stesse con cui si apriva l’esposizione di Parigi: Teller da piccolo, in uno scatto realizzato da suo padre al cambio del pannolino, la fotografia dell’articolo che annunciava il suicidio di quest’ultimo e infine un ritratto ironico e spontaneo della madre, tra le fauci di un coccodrillo. «I need to live» (Ho bisogno di vivere), da qui tutto comincia e tutto ruota. Semplicità e grandezza.
Più di due anni di lavoro per la più grande retrospettiva mai realizzata del fotografo tedesco. Nel percorso della mostra scorrono e si alternano istantanee di piccolo formato, appese con minuscoli spilli, e stampe perfette e imponenti, di grande dimensione e incorniciate. Ritratti di celebrità, progetti di moda provocatori, lavori su commissione e di ricerca. Fotografie molto diverse, ma con un unico stile: preciso, diretto, realistico e anticonvenzionale. Non c’è ordine cronologico, ma un'alternanza continua tra narrazione autobiografica e progetti realizzati in quarant’anni di lavoro.
Il presente è una nuova vita con Dovile Drizyte (sua partner anche sul lavoro), la nascita della loro figlia Iggy (da Iggy Pop). Una nuova felicità che ripete ancora una volta «I need to live», un’asserzione che guarda al passato e va oltre, progettando un nuovo futuro.
Nelle sue fotografie, Teller sa essere provocatorio e intimo, ironico e profondo. Mette a nudo le persone che ritrae, a volte fisicamente (come nel caso di Charlotte Rampling e Vivienne Westwood), a volte metaforicamente (con Yves Saint Laurent e Sinéad O’Connor) e riesce sempre a trovare una porzione di genuinità nella messa in scena della fotografia, con inquadrature straordinarie, prospettive inaspettate e colori accesi, mai casuali. E non c’è differenza nel suo lavoro tra il modo di raffigurare Boris Mikhailov e Agnès Varda, o Kate Moss e Kim Kardashian (raffigurata piccolissima in quest’esposizione).
Teller sa firmare un progetto innovativo e raffinato per Marc Jacobs, realizzare scatti iconici per le più importanti case di moda e poi filmarsi in un momento di intimità che per chiunque sarebbe di grande imbarazzo. Sa essere poetico nelle fotografie a gambe in su (aspettando la gravidanza, nelle stanze di Villa Serbelloni a Bellagio), delicato nel progetto con i bambini della sua vecchia scuola elementare e poi sorprendente e trasgressivo nelle fotografie di moda.
Teller riesce a non perdere mai la spontaneità dell’immagine pur muovendosi dentro una cornice di regole molto precise (specialmente nei lavori su commissione). C’è molto pensiero nella costruzione dello scatto, ogni dettaglio deve essere perfetto, ma la sua bravura sta nel saper sempre ritrovare il senso della realtà nell’immagine, con uno stile, a volte anche crudo, a volte provocatorio o umoristico. Sempre potente.
Nei ritratti di Teller non c’è divismo, anche quando sono grandi celebrità ad essere fotografate. È il tratto umano e fragile che lo interessa, e a volte anche quello un po’ grottesco. Ogni soggetto è diverso e diverso deve essere il modo di ritrarlo, ma anche le persone più famose hanno momenti in cui ritrovano una dimensione più intima e vera.
Il ritmo dell’esposizione è ben cadenzato, forse un po’ sacrificata rispetto a Parigi la selezione di pubblicazioni, riviste, cataloghi e libri d’artista. Per Teller, il libro aggiunge qualcosa al lavoro e fissa nel tempo le fotografie e il loro significato. Si dichiara «molto orgoglioso di questa mostra» e un grande amante dell’Italia, Paese in cui ritorna spesso e ha realizzato molti progetti. Triennale deve esserlo per aver realizzato questa mostra.
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