Maurita Cardone
Leggi i suoi articoliNel corso di sei decenni di sperimentazioni, Joan Jonas (New York, 1936) ha definito e ridefinito il linguaggio della performance e della Video arte, intrecciando media e linguaggi. A lei il MoMA dedica «Joan Jonas: Good Night Good Morning», la più completa retrospettiva mai organizzata negli Stati Uniti del lavoro dell’artista oggi alla soglia dei novant’anni. Dal 17 marzo al 6 luglio le gallerie del sesto piano del museo newyorkese ospitano video, disegni, fotografie, installazione su larga scala, appunti, bozzetti e lettere che raccontano il percorso artistico e intellettuale di Jonas, dai primi esperimenti negli anni ’60 alle più recenti esplorazioni, rivelando la sua duratura influenza su generazioni di artisti.
Organizzata in ordine cronologico, la retrospettiva mette in luce quattro temi principali che attraversano l'opera di Jonas: performance, tecnologia, letteratura ed ecologia, elementi che si intrecciano nel suo lavoro e che si arricchiscono di progetto in progetto, pur cambiando mezzi espressivi. La mostra si apre con una proiezione del film in 16 mm «Wind» (1968), creato come versione outdoor di una performance inizialmente fatta all’interno. Come ha ricordato più volte l’artista, casualmente il film fu girato nel giorno più freddo e ventoso dell’anno: il risultato è una poetica coreografia in bianco e nero di corpi che interagiscono con lo spazio e la natura.
Agli esordi della sua carriera Jonas si era dedicata alla scultura. Fu un’esperienza con il Judson Dance Theatre a innescare il cambiamento nella sua pratica artistica, portandola a sperimentare con il corpo in movimento, la performance e le nuove tecnologie. Le sue prime performances, cui spesso invitava a partecipare amici artisti come Gordon Matta-Clark, Tina Girouard e Pat Steir, si svolgono sullo sfondo dei paesaggi urbani di una New York allora in degrado.
Negli anni ’70, con l’avvento delle nuove tecnologie portatili, il video divenne il mezzo prescelto: è di quegli anni «Organic Honey’s Visual Telepathy» (1972), in cui Jonas crea un alter ego e la videocamera diventa uno specchio continuo. La retrospettiva raccoglie diverse opere della serie «Organic Honey», evidenziandone la contemporaneità della forma come del contenuto.
Più in là l’artista iniziò a mescolare i media, inventando un nuovo e stratificato linguaggio. Come ad esempio in «Mirage» (1976-1994-2005), opera in cui l’artista utilizza film, video, disegni e oggetti di scena ad evocare l’idea del rituale. La commistione tra media e generi emerge anche nell’uso di Jonas di favole, miti e poesia come fonte di ispirazione e base semantica di opere come «The Juniper Tree» (1976-1994), un’installazione performativa su larga scala basata sull’omonima storia dei fratelli Grimm.
Infine la mostra evidenzia come la natura sia un tema forte nell’opera di Jonas, a partire dagli esordi fino a lavori recenti, in cui entrano l’attenzione agli ecosistemi e la preoccupazione per la crisi ambientale, come in «Reanimation» (2010-2012-2013), una delle tante collaborazioni di Jonas con il musicista jazz Jason Moran o come nella collaborazione con lo scienziato David Gruber, culminata in una nuova commissione ispirata alla coscienza degli animali marini.
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