Still dalla videoinstallazione «Two Horizons» (2017) di Saodat Ismailova

Cortesia dell’artista. © Saodat Ismailova

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Still dalla videoinstallazione «Two Horizons» (2017) di Saodat Ismailova

Cortesia dell’artista. © Saodat Ismailova

Ismailova alla ricerca delle radici in Asia centrale

Al Pirelli HangarBicocca la prima antologica in Italia sugli ultimi 10 anni di attività dell’artista documentarista uzbeka sedotta dagli innumerevoli archetipi culturali e mitici condivisi in questa terra immensa

Uzbeka, nata a Tashkent nel 1981, prima generazione post sovietica, dopo gli studi in patria e la formazione familiare (è figlia d’arte), Saodat Ismailova ha potuto studiare a Fabrica, Treviso, e a Le Fresnoy-Studio national des arts contemporains in Francia, e oggi vive a Parigi la metà del suo tempo. Ma la sua patria del cuore è l’intera Asia Centrale, che ha esplorato capillarmente, da documentarista, tra il 2002 e il 2010, rimanendo sedotta dagli innumerevoli archetipi culturali e mitici condivisi in questa terra immensa. Da allora il suo lavoro si è piegato verso le arti visive tanto che nel 2013, con altri, ha rappresentato l’Asia Centrale alla Biennale di Venezia e nel 2022 ha esposto a documenta 15 a Kassel. 

Dal 12 settembre al 12 gennaio 2025 Pirelli HangarBicocca presenta la sua prima grande antologica in Italia (catalogo Marsilio), curata da Roberta Tenconi, il cui titolo stesso, «A Seed Under Our Tongue», è un atto d’amore verso quella cultura sovranazionale: cita infatti, ma in un’ottica contemporanea, un’antica leggenda che narra di un seme di dattero conservato lungamente sotto la lingua da una figura mitica, Arslanbob, e da lui passato a un bambino poi diventato un importante mistico del XII-XIII secolo, che lo piantò dando vita all’immenso noceto tuttora esistente tra Uzbekistan e Kirghizistan: «È una metafora sul tema prediletto da Saodat, spiega Roberta Tenconi, quello della trasmissione, lungo il tempo, del patrimonio culturale e ambientale. Trasmissione che tuttavia è soggetta a possibili errori, tanto che il seme di dattero genera un noceto». 

La mostra, che si annuncia molto coinvolgente e densa di significati («tutto, nel lavoro di Saodat, parte da una ricerca approfondita su ogni tema scelto»), copre gli ultimi 10 anni del suo lavoro, ma con molte nuove produzioni: «Ci sono sei film, uno inedito e sette sculture, di cui sei nuove, continua Tenconi. L’intero ambiente espositivo (progettato da Studio Grace, Milano), è pensato come un grande “abbraccio” per porre l’accento sul tema a lei caro della ciclicità: entrando, ci s’imbatte nei tre grandi schermi del film “Stains of Oxus” del 2016, che narra il disastro ambientale del fiume Amu Darya (per gli antichi, Oxus), uno dei due fiumi che, prima che le loro acque fossero deviate dall’Urss per irrigare i campi di cotone, alimentava l’immenso Lago d’Aral, oggi prosciugato. Il film segue il fiume dalla sorgente, nel Pamir, fino al deserto dove oggi muore, ma non usa toni militanti: narra infatti il suo viaggio attraverso i sogni (intesi da questi popoli come messaggeri degli antenati) di chi abita lungo il suo corso. Saodat tocca temi forti, traumatici, ma lo fa sempre con un linguaggio poetico». 

Di fronte, i tre schermi di «Arslanbob», il suo ultimo film (in lavorazione quando scriviamo), girato nel noceto in Kirghizistan e sul monte Sulaiman-Too, antico luogo di pellegrinaggi per le sue grotte dai poteri terapeutici («una di esse, scannerizzata, ridotta e tradotta in una scultura cava, rinvia al rapporto tra tempo geologico e tempo umano»). E in mezzo, altri film (come quello sulla tigre del Caucaso, ormai estinta, assunta a simbolo del destino di queste genti sopraffatte e culturalmente cancellate dal colonialismo russo e sovietico) e sculture fatte dei materiali più diversi, con le quali l’artista intende preservare antichi saperi locali, dal ricamo alla tessitura. Perché, come avverte nel suo film «18,000 Worlds» del 2023, «tutti noi, che viviamo in uno dei 18mila mondi possibili, siamo responsabili delle sette generazioni che ci hanno preceduto e delle sette che verranno dopo di noi». 

Ada Masoero, 09 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

Ismailova alla ricerca delle radici in Asia centrale | Ada Masoero

Ismailova alla ricerca delle radici in Asia centrale | Ada Masoero