Emilio Isgrò accanto a «Il discobolo» (2022) cancellato da formiche nel Museo di Santa Giulia. © Foto Ela Bialkowska Okno Studio copia

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Emilio Isgrò accanto a «Il discobolo» (2022) cancellato da formiche nel Museo di Santa Giulia. © Foto Ela Bialkowska Okno Studio copia

Isgrò: «Sono un cancellatore (e anche un po’ un cancelliere)»

L’artista siciliano ha portato le sue cancellature tra i resti dell’antica Brixia lungo un itinerario che coinvolge anche gli spazi del Museo di Santa Giulia

A due anni dalla realizzazione dell’«Incancellabile Vittoria», l’installazione presentata nell’ottobre 2020 nella metropolitana bresciana per celebrare il ritorno della «Vittoria Alata», Emilio Isgrò (Barcellona Pozzo di Gotto, Me, 1937) torna a Brescia con un progetto che, fino all’8 gennaio, coinvolge il Parco archeologico di Brescia Romana e il Museo di Santa Giulia. Curato da Marco Bazzini e prodotto da Fondazione Brescia Musei e Comune di Brescia, «Isgrò cancella Brixia» si compone di installazioni monumentali (fisiche e digitali), la messa in scena (a giugno e luglio) di un dramma autografo del maestro siciliano nel Teatro Romano e una mostra di 14 lavori originali negli spazi del Museo di Santa Giulia. Abbiamo intervistato l’artista.

Isgrò, un artista come se la passa in questo mondo? 
Io non male, soprattutto perché ho un buon carattere. In un momento di guerra come questo è già un vantaggio: sperare in una pace che ci faccia vivere più tranquilli lo sperano sicuramente gli artisti europei, italiani, americani, e probabilmente anche i russi. Forse anche i cinesi. Non vedo, per fortuna, degli artisti guerrieri come alla vigilia della Prima guerra mondiale.

Franco Fanelli ha scritto un editoriale ne «Il Giornale dell’Arte» sull’artista disertore.
Mi ha meravigliato che le difese dell’Europa le abbia prese un artista cinese, Ai Weiwei, il quale si era lamentato che l’Europa non si muove. Non perché i cinesi non possano parlare dell’Europa, così come noi possiamo parlare della Cina o della Russia o dell’America, ma perché è strano che l’Europa apparentemente non sia amata dagli artisti europei. La penso come Socrate, siamo cittadini del mondo. Un artista è cittadino del mondo. Ma in pace.

Nel rapporto tra parola e immagine, così ricorrente nelle sue opere, a quale dà prevalenza?
Della parola aveva bisogno anche Michelangelo, che sui rovesci dei disegni scriveva sonetti. Ne aveva bisogno Raffaello, che li scriveva meno bene, ma anche lui ci provava. La potenza dell’immagine è inesorabile. Bisogna sapere usare anche gli strumenti pittorici. Io appiccico il nero cancellatore all’immagine, ma l’immagine sotto rimane, non è che sparisce. E così accade per le parole.

Questo accade per tutto. Perché funziona così bene?
La cancellatura non è uno stile, come può essere l’Astrattismo, l’Informale, il Cubismo, ma è l’altra faccia della medaglia: è essa stessa linguaggio. Sennò sarebbe già morta nel 1964, quando la usai la prima volta. È l’altra faccia della scrittura e della pittura. Oggi finalmente le due forze, segno verbale e segno visivo, si possono equivalere proprio sul piano della potenza creativa. 

La cancellatura ha una sua autonomia estetica, compositiva, grafica, al di là del significato concettuale?
Mi sono accorto che ce l’ha. Me l’hanno sempre detto, ma io non lo credevo fino in fondo, probabilmente per le mie origini letterarie. Non pensavo di fare il pittore. Mi è stato detto che le mie opere sono eleganti. Se me lo avessero detto negli anni Sessanta mi sarei offeso, l’avrei preso come un insulto. Potrei dire che se non ci fosse stata la Cancellatura, non avrei fatto l’artista. 

Qual è la sua definizione di Poesia visiva e quali sono le differenze con l’Arte concettuale?
Celant non voleva che parlassi di Poesia visiva. In effetti avevo chiamato Poesia visiva una serie di opere che preludono, secondo i critici, all’Arte concettuale, ma che alcuni artisti concettuali non consideravano tale. Li capisco, ho sempre avuto un conto aperto con gli artisti concettuali, non tanto perché non amassero il mio lavoro, ma soprattutto perché io non amavo il loro.

Come mai?
Perché sono siciliano. Il rapporto tra me e la Poesia visiva è stato carnale. Ero a disagio con la Poesia visiva come veniva praticata in Italia ed ero a disagio con l’Arte concettuale, perché esageravano troppo, erano degli estremisti, e io sono notoriamente un moderato.

Qual è il rapporto tra pittura e fotografia?
I bravi fotografi lamentano che la loro fotografia venga considerata un’arte. Ferdinando Scianna fra questi. Sarà una forma di snobismo? La fotografia è un’arte a sé, per praticarla non devi fare l’artista, devi fare il fotografo, come il musicista deve fare il musicista. Mi sono sforzato tutta la vita di raggiungere il pubblico e apparentemente non ci sono riuscito. Non dico il mercato, ma il pubblico. 

Che rapporto ha con la poesia civile e l’impegno?
Raffaello non era solo un pittore, era il nemico di Michelangelo, era quello che gli copiava le opere, era quello che faceva la «Scuola di Atene» con Aristotele e Platone al centro. Quindi la cultura c’era, fino al Romanticismo tedesco i pittori pensavano. Sembra che si stia tornando a questo. Ho letto un’intervista a Jeff Koons in cui parlava di filosofia. Il rapporto col pubblico è fondamentale. Naturalmente ci sono forme d’arte di nicchia. Sono rispettabili, però non avranno mai il trono centrale nell’Olimpo delle arti. C’è un’arte di buona qualità, come c’è una letteratura che nasce per il mercato, ma questo non significa che Georges Simenon sia spregevole. Anche perché il mercato non è stupido, sa ciò che può avere successo e sceglie anche un po’ la qualità che può diventare prodotto di massa. 

Nel Palazzo Ducale di Venezia ci sono le tele gigantesche di Kiefer in cui ha inserito una frase di Andrea Emo. È Poesia visiva?
Oggi si vedono più parole nei quadri degli artisti che nell’Ulisse di Joyce, non c’è nessuno che si astiene, è diventato gusto corrente. È strano che gli artisti visivi si siano buttati al salvataggio della parola umana.

Lei legge?
Più che leggere, rileggo, soprattutto i classici. E molta poesia e saggistica. La cultura non consiste nel sapere troppe cose, ma nel saperne poche ma bene.

Per lei, grande cancellatore, l’arte contemporanea potrebbe fare a meno delle parole che la accompagnano e ci affliggono nelle spiegazioni che corredano le opere alle biennali, nei talk e alle fiere?
L’arte visiva non può fare a meno delle parole, questa è la verità. Come un’immagine di guerra non può fare a meno della didascalia, sennò tutte le guerre sarebbero uguali, no? Se è un’allusione a certa critica compiacente, diciamo così, nei confronti del mercato, bisogna dire che una volta, oltre agli artisti, erano mediamente più colti anche i mercanti. Ora non so. Il mercato ha più peso di quello che aveva cento anni fa, quando non c’era l’ideologia del mercato. Siamo passati dall’ideologia politica del comunismo sovietico e cinese all’ideologia del capitalismo nelle sue varie declinazioni: americana, cinese, tedesca, inglese.

Perché ha fatto quello che ha fatto?
Il signor Enzo Ferrari non costruiva i suoi bolidi per tenerli parcheggiati nella rimessa, li costruiva perché qualcuno li guidasse e li portasse alla vittoria. Diciamo allora che io, con la cancellatura, prima ho costruito la macchina in grado di gareggiare, e ora cerco di farla correre in pista. Lo so che la cancellatura è una bella macchina, ora mi tocca farla correre. Dopo averne viste di tutti i colori non ho più paura di correre. Il limite di una certa Arte concettuale è quello di costruire belle macchine che però poi non corrono.

Si sente riuscito?
Un artista non sa se è riuscito finché continua a lavorare. Lo sa dopo, nel momento in cui si è saldato il rapporto con un certo pubblico che prima chiaramente non aveva. Allora questo per me è un momento felice.

Quale libro, quale opera d’arte, quale film cancellerebbe del tutto?
Tutta l’opera letteraria di Pasolini, per poterla rileggere con più calma e più senso critico. È stato trasformato in un santino. Pasolini è un grandissimo poeta, proprio per questo tollera le cancellature e le riletture. Cancellerei la Cappella Rothko perché vorrei averla dipinta io. Cancellerei «Via col vento», perché non perdo occasione di rivederlo anche sottraendo tempo al lavoro. Mi piacciono le frivolezze sentimentali.
 

Emilio Isgrò accanto a «Il discobolo» (2022) cancellato da formiche nel Museo di Santa Giulia. © Foto Ela Bialkowska Okno Studio copia

Elena Abbate, 03 novembre 2022 | © Riproduzione riservata

Isgrò: «Sono un cancellatore (e anche un po’ un cancelliere)» | Elena Abbate

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