Ayla Jean Yackley
Leggi i suoi articoliDopo una campagna elettorale divisiva, che ha elettrizzato la sua base conservatrice ma si è inimicata i detrattori, tra cui molti artisti del Paese, il leader turco Recep Tayyip Erdoğan ha vinto a mani basse il ballottaggio di domenica scorsa garantendosi così la possibilità di estendere il suo governo a un terzo decennio.
La maggior parte degli elettori ha dunque ignorato gli avvertimenti dello sfidante Kemal Kılıçdaroğlu, per il quale le elezioni erano l’ultima occasione per «chiudere le porte dell’inferno» allo stile di governo autoritario di Erdoğan, che ha minato le norme democratiche. I risultati provvisori dello scrutinio di domenica mostrano che il presidente in carica ha ottenuto il 52% dei voti contro il 48% di Kılıçdaroğlu.
La comunità creativa turca teme ora che Erdoğan possa intensificare un giro di vite che a lungo ha intimidito artisti, musicisti, registi e altri attivisti culturali. Gli artisti, soprattutto curdi, donne e gay, si sentono particolarmente vulnerabili dopo che Erdoğan, per galvanizzare gli elettori religiosi e nazionalisti, ha fatto leva sulle divisioni sociali affermando che i partiti di opposizione sono «Lgbt» ed etichettando come «terroristi» il principale blocco curdo del Paese, che conta 5 milioni di elettori.
«M’inquieta il clima in cui si fa arte. Non arrivo al punto di ricorrere all’autocensura... ma sono preoccupata per la comunità, perché vedo che le persone si chiudono nel loro guscio», osserva l’artista curda Fatoş İrwen, le cui intense sculture incorporano materiale organico, compresi i suoi capelli, per mettere in discussione il potere dello Stato. Fatoş İrwen ha scontato tre anni in carcere per aver partecipato a una protesta politica. È stata liberata nel 2020.
Per aver preso parte un decennio fa a manifestazioni di massa contro il Governo rimangono invece dietro le sbarre Osman Kavala, attivista e filantropo che ha sostenuto artisti emarginati in Turchia, e il regista Ciğdem Mater.
«Molti artisti si sentono a disagio in una società che nonostante i tanti limiti alla libertà di espressione rielegge Erdoğan, riflette Kültigin Kağan Akbulut, critico d’arte e fondatore del sito web Argonotlar. Sono demoralizzati e pensano: “Se questo è ciò che vuole il Paese, che cosa devo fare?”», .
Erdoğan ha a lungo deplorato il potere proprio dell’arte di ispirare l’azione politica e si è ripromesso di far crescere una nuova generazione con la quale strappare ai suoi oppositori l’influenza culturale. Solo nell’ultimo anno, il Governo ha cancellato più di una decina di festival musicali e ha revocato i finanziamenti statali a progetti che si discostano dalla narrazione ufficiale: tra questi il film «Burning Days», che dopo il debutto al Festival di Cannes si è visto costretto a restituire i fondi del Ministero della Cultura quando i media affiliati al Governo lo hanno tacciato di propaganda omosessuale.
Le guerre culturali in Turchia si sono riattizzate la sera prima delle elezioni, quando Merve Dizdar è diventata la prima donna turca a vincere il premio come miglior attrice a Cannes per il ruolo interpretato in «Erbe secche» di Nuri Bilge Ceylan. Dizdar ha dedicato il premio «alle anime che lottano per i giorni migliori che la Turchia merita». In tutta risposta, il viceministro della Cultura Serdar Çam l’ha paragonata alle «lobby» antiturche in Occidente. Riferendosi al sostegno finanziario ha scritto in un tweet che «Fette di quella torta che non meritate saranno gradualmente distribuite ai nuovi quadri che si stanno ora formando».
Le aziende private sono intervenute per finanziare le maggiori istituzioni culturali ed eventi del Paese; il fatto però che facciano conto su relazioni amichevoli con il Governo per condurre affari a scopo di lucro può favorire il silenzio sugli interventi dello Stato nella cultura, non ultima l’incarcerazione di Kavala.
«Kavala, spiega Akbulut, resta in prigione perché è un simbolo, un messaggio per coloro che hanno un capitale: se s’impegnano, aprono uno spazio d'arte, cercano di rafforzare la società civile, questo è quel che accadrà».
Questo mese, dopo la riapertura in un edificio progettato da Renzo Piano sullo stretto del Bosforo, il Museo d’Arte Moderna di Istanbul ha invitato a parlare Erdoğan. In quello che è parso un discorso di circostanza, il presidente ha inveito contro la scarsa considerazione riservata alla cultura tradizionale ottomana e ha affermato che le critiche al suo lascito culturale, in particolare al palazzo presidenziale di 1.000 stanze che ha costruito su un ex terreno forestale nella capitale Ankara, sono «menzogne e propaganda calunniosa».
Secondo il curatore indipendente Kerimcan Güleryüz, che gestisce la galleria Empire Project, il fatto che nel clima attuale si sia inaugurato l’Istanbul Modern, la cui missione è rendere l’arte contemporanea accessibile a tutti i segmenti della società, dimostra invece quanto l’arte sia ancora vitale. «La pentola a pressione in cui gli artisti turchi si ritrovano, argomenta Güleryüz, crea un’arte migliore. L’arte turca è politica proprio perché può essere considerata un crimine di pensiero. La comunità ha capito a che cosa serve la democrazia e che deve combattere per essa».
Per un’artista curda come İrwen lavorare in Turchia può farti sentire «come la gramigna. È questa la tenacia di cui abbiamo bisogno, sottolinea. Quello che mi fa sperare è che queste elezioni diventino una motivazione per gli artisti. Perché ciò accada, è fondamentale che adesso le istituzioni non abbandonino gli artisti, moralmente e materialmente».
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