Lucrezia Mutti
Leggi i suoi articoliDa oltre un milione di anni il Marocco è un luogo importante nella storia della nostra evoluzione. È qui che ha vissuto il più antico rappresentante conosciuto della nostra specie circa 315mila anni fa, secondo i ritrovamenti di Djebel Irhoud, nei pressi della città costiera di Safi e che nel 2021 viene ritrovata nella grotta di Bizmoune, nella regione di Essaouira, una parure di «gioielli» risalente a 150mila anni fa, testimonianza del primo comportamento simbolico umano mai accertato.
A rinforzo dell’ipotesi dell’origine panafricana della nostra specie interviene uno studio pubblicato lo scorso gennaio sulla rivista «Scientific Reports» (Nature Portfolio) relativo alla scoperta, nel luglio 2022, di 85 impronte di Homo Sapiens ad opera di un gruppo di ricercatori diretti da Mouncef Sedrati dell’Université Bretagne Sud, mentre studiava alcune formazioni rocciose della costa meridionale di Larache (90 km a sud di Tangeri). La stima dell’origine delle impronte tramite luminescenza stimolata otticamente ha permesso di datarle attorno ai 90mila anni fa.
Si tratterebbe di un gruppo multigenerazionale di almeno cinque individui tra bambini, adolescenti e adulti (uno dei quali eccezionalmente alto), molto probabilmente pescatori raccoglitori, che nel tardo Pleistocene hanno abitato, o attraversato, la regione alla ricerca di risorse. «Questo sito è il solo conosciuto sinora nel suo genere nel Nord Africa e nel Mediterraneo meridionale e il terzo per importanza a livello mondiale (dopo quelli in Sudafrica e in Arabia Saudita)», conferma Anass Sedrati, conservatore del sito archeologico di Lixus (Larache), che ha partecipato alla ricerca.
La posizione favorevole del luogo ha permesso finora la conservazione intatta delle tracce, anche se il processo di erosione marina e l’innalzamento del livello del mare non possono essere arrestati, così come il crollo in corso della piattaforma rocciosa del litorale nella zona settentrionale del sito che potrebbe portare alla scomparsa delle tracce conservate sinora. «A breve termine, con l’avanzamento dell’erosione, verranno scoperte altre impronte che ci permetteranno di ottenere più informazioni sul gruppo di ominidi che ha attraversato,
o abitato, questa zona costiera», dichiara Mouncef Sedrati. E sottolinea l’importanza di procedere rapidamente a rilievi topografici e fotogrammatici, così da assicurare l’archiviazione dettagliata delle informazioni raccolte e delle impronte.
«Dalla loro scoperta, monitoriamo ogni sei mesi lo stato e la velocità di erosione e deformazione di alcune impronte al fine di anticipare la loro inevitabile perdita in futuro», conclude, auspicando una rapida iscrizione del sito nella lista del Patrimonio Archeologico Nazionale del Marocco ai fini della sua conservazione e diffusione.
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