«Il Lago Maggiore, Stresa, Novara» (1984 negativo, 1990-91 stampa) di Luigi Ghirri

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«Il Lago Maggiore, Stresa, Novara» (1984 negativo, 1990-91 stampa) di Luigi Ghirri

Il viaggio di Luigi Ghirri arriva in Svizzera

Illustrate al Masi Lugano le mete del fotografo rivoluzionario: più che la destinazione fisica di un percorso, erano luoghi concettuali, animati dal lavorio dell’intelletto

La fotografia per Luigi Ghirri (1943-92) andava di pari passo con un’idea di viaggio molto complessa, un viaggio mentale e immaginifico, iniziato da piccolo con i suoi amati atlanti, e un viaggio fisico, che non necessariamente doveva essere fatto a grande distanza dalla sua Emilia. Considerava la fotografia un’esperienza di conoscenza, un linguaggio che, come l’«occhio di bue» a teatro, seguiva l’uomo dandogli prospettive diverse sul mondo e suggerimenti sui diversi modi per poterlo guardare. Il viaggio, nella sua accezione più vasta, come tema della sua ricerca, era il perfetto contesto in cui mettere in campo la sua filosofia di pensiero. 

Al Masi Lugano, nella sede del Lac, dall’8 settembre al 26 gennaio 2025, la mostra «Luigi Ghirri. Il viaggio. Fotografie 1970-1991», a cura di James Lingwood con il coordinamento di Ludovica Introini, illustra proprio questo fondamentale parallelismo, che ha animato tutta la produzione di uno dei maestri più rivoluzionari della fotografia italiana. Esposta la sua bella Italia, da nord a sud, isole comprese, ma anche l’amata Francia, Versailles, Arles, Parigi, le Alpi austriache, Amsterdam, oltre a quei «paesaggi di cartone» che Luigi Ghirri aveva reso concetto per rimodellare un nuovo pensiero sull’immaginario paesaggistico come «In Scala», un lavoro del 1977 che riproduce la lillipuziana Italia in Miniatura di Rimini, o «Identikit» con cui racconta una quotidianità fatta di libri, dischi e oggetti dalla memoria familiare. 

Le immagini di Ghirri sono unità di misura per un universo che non è possibile misurare o controllare, forse per tale motivo il fotografo di Scandiano fotografava e viaggiava, viaggiava e fotografava, per raccogliere il più possibile di quello che, relativamente al lavoro di Walker Evans, lo stesso Ghirri definirà lo «stato di tenerezza nei confronti del mondo». Come il suo maestro americano, fotografava lasciando «agli spazi, agli oggetti, ai paesaggi il compito di rivelarsi allo sguardo, con una riservatezza e una dignità prima sconosciute». E tra la libertà lasciata ai suoi soggetti e quella lasciata ai suoi fruitori, Ghirri si pone nel mezzo, con un sorriso affettuoso, narratore rispettoso di luoghi che semplicemente esistevano prima di tutto nel suo pensiero. Per questo motivo le mete dei suoi viaggi, più che essere la destinazione fisica di un percorso, erano luoghi concettuali, animati dal lavorio dell’intelletto, con la stessa carica immaginifica di una canzone di Bob Dylan, di un libro di Calvino o di un dipinto di Brueghel. La valigia di Ghirri era, infatti, sempre molto leggera, gli strumenti del mestiere li portava con sé nel suo sguardo. 

«Rimini» (1977) di Luigi Ghirri

Francesca Orsi, 06 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

Il viaggio di Luigi Ghirri arriva in Svizzera | Francesca Orsi

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